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La Naturphilosophie Antonio D'Alonzo |
Nel Romanticismo si afferma quella corrente di
pensiero chiamata Naturphilosophie che tende a cogliere l'unità
essenziale tra l'uomo e la Natura. Ma le radici della filosofia della
Natura possono risalire ancora più indietro nel tempo, a Cusano, Agrippa
di Nettesheim, Paracelso, Giordano Bruno, Keplero. Per tutti questi
pensatori l'universo è vivo e possiede un'anima: tutte le creature ne
sono parte attiva come emanazioni dell’Uno. All'interno di questa
dimensione micromacrocosmica ogni individuo vivente è
ineluttabilmente correlato all'insieme: l'uomo più di tutti acquista un
ruolo centrale e cruciale nella catena degli esseri. Il mondo sensibile
assurge a simbolo e specchio di un ordine trascendente, divino. La
Natura, nel suo complesso, è una pletora di segni e significanti che si
devono svelare tramite la contemplazione interiore e l'esegesi. Il Mondo
possiede un simbolismo segreto che coincide con l'esplorazione
interiore, introspettiva. Conoscere se stessi- in virtù della relazione
analogica tra microcosmo e macrocosmo- è conoscere il segreto della
Creazione, sollevare il velo sotto cui si nasconde il progetto divino.
Secondo il mito di fondazione della «Caduta» lo stato attuale è il
risultato di una trasgressione primordiale che ha violato l'ordine
originale, la degenerazione spirituale coinvolge la Natura stessa.
Secondo Saint-Martin, il mondo materiale è sorto per arrestare la Caduta
e offrire all'uomo una possibilità di riscatto. L'«uomo di desiderio» ha
il compito di riallacciare il legame parzialmente interrotto con il
Creatore, riconoscendo la sua vera natura ed i segni dello spirito che
albergano nella sua anima. Attraverso un percorso mistico
d'introspezione spirituale, l'«uomo di desiderio» può anelare alla
reintegrazione nello stato ontologico originario precedente alla Caduta.
Ma reintegrandosi nell'unità originaria- che peraltro non prevede il
superamento della distinzione ontologica tra il Creatore e la creatura-
l'«uomo di desiderio» può salvare la stessa Natura. Distaccandosi
dall'illusione fenomenica, rintracciando in sé stesso l'immagine
macrocosmica del Creatore, l'«uomo di desiderio» riscatta la Natura.
Saint-Martin influenza Johann Georg Hamann (1730-1788), il «mago del
Nord», fra i primi a conferire un’importanza centrale al «genio» poetico
speculare a quello che più tardi sarà chiamato «inconscio». Per Hamann
la vera conoscenza si svela con le immagini e la poesia è il linguaggio
per eccellenza. Soltanto il poeta possiede la «lingua angelica», ricca
di allegorie e simboli, per ricostruire l’unità perduta. Per Hamann
l’essere umano è un Tutto indivisibile, a sua volta parte di un
organismo più grande, le cui parti sono interdipendenti e collegate: la
Natura. Ma questa struttura universale che collega l’Uomo, la Natura ed
il Cosmo è pensata da Hamann come una struttura statica, priva di
dinamismo vitale. Per Hamann tutto ciò che è isolato è condannabile, ma
il sistema onnipervasivo con il quale interpreta l’Intero è estraneo al
flusso del divenire, alla vita. Se la concezione di organismo statico
procura a Hamann le critiche dei romantici- interessati al vitalismo ed
al divenire- il discredito del «mago del Nord» per tutto ciò che è
isolato ed alieno all’integrazione sistematica nel Tutto suscita la
disapprovazione di Goethe. Per Goethe- che pure condivide l’idea
romantica di organismo vivente- ogni istante è giustificato e compiuto
in se stesso. Doveva arrivare l’epoca di Herder perché la visione di un
organismo cosmico acquistasse forza dinamica e vitalità. Herder mantiene
l’idea hamanniana di simbolismo universale e di organismo cosmico, ma la
concepisce in modo vitalistico, soffiandoci dentro l’energia fluida del
divenire. La dottrina della concordanza tra l’uomo ed il cosmo, tra la
natura umana e quella divina, per Herder, è sostenuta dall’immaginazione
che raccoglie e concentra immagini, produzioni oniriche, sensazioni
interne.
La Physica Sacra è una dottrina che si propone
d’interpretare i fenomeni naturali attraverso la fede, in cui la Natura
diventa foriera di un messaggio cifrato e ridondante perfettamente
accordato con i mitologemi biblici. Esistono tre filoni principali della
Physica Sacra: il «letteralismo» biblico, la teologia «physica» e
ed un’ermeneutica fondata su basi analogiche.
Tra i tre filoni, il letteralismo biblico è quello
che ha meno bisogno di presentazioni. Il letteralismo- che si diffonde
nell’Europa dal XVII secolo- prende alla lettera il contenuto dei libri
sacri, in questo caso della Bibbia. Per i letteralisti, progenitori dei
fondamentalisti contemporanei, il Libro non può mentire: ogni
interpretazione allegorica è respinta. Qualora la verità scientifica
entri in contraddizione con il racconto biblico, l’errore è della prima
e non del secondo. Per il pensiero letteralista, la Natura non ha alcuna
importanza, se non in quanto riesce ad accordarsi ed a servire da
fondamento alla Rivelazione. La physico-teologia è ugualmente
interessata ad accordare il racconto biblico con i dati empirici, ma
senza porsi eccessive domande sull’ortodossia delle sue conclusioni. Il
proposito della physico-teologia è di dimostrare, alla fine del
XVII secolo, come non vi sia alcuna contraddizione tra la fede e la
scienza. In questo caso, ci si preoccupa di elaborare un’apologetica
della fede come categoria antropologica, più che di rivendicare il
primato della mitogenesi biblica. Soltanto con la terza corrente si
collocano al centro del paradigma le correlazioni intratestuali tra il
Libro della Bibbia e quello della Natura, caricando la Scrittura di
significati pólisemici e rinviando all’idea di una phýsis
vivente. Con questa ermeneutica allegorizzante si diffondono alcune
teorie che ritroviamo anche nel pensiero teosofico, come per esempio la
correlazione triadica tra Dio, l’Uomo e la Natura. In generale, la
Natura vivente diventa un vasto testo da decifrare.
Questa terza forma di Physica Sacra si
articola nella corrente teosofica e nella Naturphilosophie
paracelsiana. La teosofia è un’ermeneutica applicata ai testi sacri che
sì differenza dall’esegesi canonica per i suoi tentativi di archeologia
del sapere, per il suo desiderio di liberare i contenuti pólisemici,
simbolici o mitici, imbrigliati nelle maglie del sistema. La teosofia
cerca di riattualizzare il rimosso, di recuperare i mitologemi messi tra
parentesi dalle pratiche discorsive della teologia ufficiale. La
teosofia s’interessa a recuperare la mitogenesi, anche se limitatamente
al racconto biblico.
La Naturphilosophie non necessariamente
coincide con il pensiero teosofico. Alcuni grandi filosofi della Natura,
quali Schelling o Oken, non possono essere annoverati nella corrente
teosofica. Parimenti, alcuni autori come come Oetinger e Ritter, pur non
essendo interessati in modo particolare alla Filosofia della Natura,
partono spesso dai dati empirici per elaborare visioni di tipo
teosofico. Un terzo tipo di pensatori rientra in ambedue le categorie: è
il caso di Baader o di Meyer.
La Filosofia della Natura, come abbiamo visto, si
sviluppa originariamente dall’influenza del paracelsismo sul pensiero di
Boheme, ma dal 1790 al 1840 assume i caratteri di una vera e propria
branca del sapere sorto in seno alla teosofia ed al Romanticismo
tedesco. Non è certamente un caso che l’esponente principale di questa
nuova scienza non sia un teosofo vero e proprio, ma un grande esponente
dell’idealismo tedesco: F.J.W. Schelling (1775-1854). Al successo della
filosofia della Natura contribuiscono diversi fattori, come il connubio
tra magia e fisica tipico dell’epoca romantica, gli studi naturalistici
di Buffon e d’Alambert, una lettura particolare del pensiero kantiano
che riduce il mondo esterno ad un’elaborazione dell’immaginazione
sintetica. Tra le altre possibili fonti della Naturphilosophie
non si deve dimenticare la filosofia di Spinoza e la ricezione del
panteismo assimilato ad una sorta di spiritualizzazione della Natura;
Dio è pensato dai naturphilosophen come un fuoco da cui procede
il mondo finito, salvando così il primato del Principio sul creato ed
evitando d’incorrere nei sentieri sempre colmi d’insidie del panteismo.
Peraltro, malgrado questa tardiva rivalutazione romantica, alcuni
naturphilosophen come Baader continuano a vedere in Spinoza un
pericoloso cantore del panteismo. Nel momento in cui la
Naturphilosophie comincia a diffondersi, la religione ufficiale è in
crisi sotto l’incalzare del pensiero dei Lumi, tanto che Chateubriand,
in Essai sur la révolutions, si domanda quale religione sarà
destinata a raccogliere l’eredità cristiana.
Questa nuova filosofia della Natura- che si propone
come una sintesi tra pansophia e kantismo- è fondata su quattro
capisaldi teoretici:
1)
La Natura come un
testo «segreto» da decifrare attraverso le corrispondenze simboliche.
A differenza di quello che pensava l’episteme illuministica, il
significato nascosto della Natura è trascendente rispetto ad essa; la
concezione di una natura naturante non è qualcosa di puramente
transeunte, sottoposto al caos del divenire e privo di un qualsiasi
ordinamento spirituale. La natura naturante indica piuttosto che
l’uomo si deve impegnare per sollevare il velo di maya del divenire,
disvelare i principi che muovono il creato.
2)
La Natura deve
essere pensata come un Tutto regolato da polarità dinamiche e non
statiche. S’inaugurano le grandi sintesi
tra la scienza, il pensiero e i survivals «esoterici» per cogliere la
Natura come un organismo vivente e polimorfo, al contrario dell’episteme
illuministica che suddivide e classifica cartesianamente secondo leggi
meccanicistiche.
3)
La Natura è
speculare ed identica allo Spirito, ambedue determinati dalla stessa
causa trascendente. La conoscenza del Sé
conduce alla conoscenza della Natura, i fenomeni naturali sono
pólisemici soltanto se non si riesce a cogliere l’identità semantica tra
il linguaggio delle scienze esatte e quello delle scienze tradizionali.
I significati sono universali, la differenza è soltanto apparente e
dovuta ai differenti linguaggi della chimica, dell’astronomia,
dell’astronomia, della filosofia. Sul piano cosmologico la verità è
unica.
4)
La storia della
Natura come mitogenesi. La
Naturphilosophie si fonda quasi sempre sul mitologema del «salvatore
salvato», dove una luce o scintilla imprigionata è liberata da una
seconda luce o scintilla: un mitologema di chiara derivazione gnostica.
Altre volte è presentata l’opposizione tra la «luce» e la «gravità»,
quest’ultima intesa come effetto consequenziale della Caduta.
Tra i principali filosofi della Natura si deve
ricordare Eschenmayer, Novalis, J.W.Ritter, Schubert, Troxler, Carus,
Burdach, Butte, Ennemoser, Fechner, Görres, Kerner, Giovanni Malfatti,
Meyer, Müller, Oersted, Oken, Ringseis, Steffens, Treviranus, J.J.
Wagner, Windschmann. In Inghilterra, W. Paley e Sir Humprey Davy.
Non si deve dimenticare Goethe, almeno, per alcune
parti della sua opera, anche se il suo pensiero non si esaurisce
certamente con questa branca del sapere. Ma sono soprattutto Schelling e
Baader a formulare i capisaldi teoretici della Naturphilosophie.
Non diversamente dai teosofi anche Schelling attinge a piene mani dal
mitologema della Caduta per fondare la sua filosofia. Il pensiero e la
riflessione sono già cesure dello stato di perfezione iniziale che, per
il filosofo di Leonberg, consiste nella fusione dell’uomo con la Natura.
La riflessione è una «malattia dello spirito umano», perché
interrompe l’armonia perfetta della fusione estatica dell’uomo con
l’ambiente naturale. La Filosofia della Natura di Schelling tende al
superamento di questa scissione originale, al recupero dello stato
inconscio primordiale in cui l’uomo viveva perfettamente armonizzato con
il Tutto. Ma se per Schelling la Natura acquista il valore di uno stadio
primordiale della coscienza, il compito dell’io è di tendere al recupero
della piena consapevolezza di sé attraverso il «diventare Natura»
della coscienza ed il «ritornare Spirito» della Natura. La
spiritualizzazione della Natura implica l’unità di finito ed infinito,
contro le pretese meccanicistiche della fisica del tempo di ridurla a
pura estensione e puro meccanicismo:
«La natura deve essere lo
spirito visibile, lo spirito la natura invisibile. Qui, dunque,
nell'identità assoluta dello spirito in noi e della natura all'esterno
di noi, deve risolversi il problema della possibilità di una natura al
di fuori di noi»
Schelling è un pensatore dai molteplici interessi che
conduce le sue ricerche muovendosi su più fronti. La Naturphilosophie
non esaurisce di certo la portata del suo pensiero che si evolve nella
filosofia dell’identità, nella riflessione sul problema della libertà e
del male, nella filosofia della mitologia e della religione, nella
«filosofia positiva». Se il pensiero di Schelling si arricchisce di
nuovi orizzonti, tuttavia, non per questo cambia l’incipit da cui prende
slancio la sua filosofia: la Natura coincide con Dio e, dunque, «la
conoscenza di ciò che unicamente è vero e positivo, è ipso facto
filosofia della natura».
Baader tratta l’hylozöismo e la distinzione
spirito-materia; s’interessa all’astrognosia paracelsiana, dove
l’interiorità della materia è equiparata allo spirito siderale- chiamato
da Baader anche «corpo astrale»- che regola la durata delle formazioni
elementari. Lo spirito astrale proietta nella nostra Natura una
figura formatrix, mentre il corpo grossolano dipende dall’azione e
dalla persistenza delle essenze elementari: quando queste cessano di
esercitare la loro azione si esaurisce l’esistenza ed inizia la
progressiva decomposizione del cadavere. Gli esseri sono dotati anche di
un’energia plastica o immaginazione spiritueuse, la quale può
essere proiettata molto lontano dal corpo grossolano.
Un primo abbozzo della filosofia della Natura di
Baader è presente nel primo scritto giovanile, Du calorique, de sa
répartition, de son association et de sa dissociation, particuliérement
dans la combustion des corps, dove l’autore equipara il «calore»
fluido all’Anima del Mondo che penetra in tutte le cose. In Fermenta
Cognitionis lo Spirito del Mondo è comparato all’oceano universale,
dove approda l’anima che si distacca dal corpo. In Cours de
Philosophie religieuse i nostri sensi non sono individuali, ma si
riallacciano ad una visione centrale attraverso la relazione del soffio
di vita individuale con il soffio di vita universale. Per Baader è come
se si trattasse sempre e soltanto della stessa Anima del Mondo o dello
stesso Spirito della Vita comune. Un caso paradigmatico di omonimia
concerne il termine «Spirito del Mondo». Questo Spirito della Vita in
alcuni passi a volte è identificato con lo Spirito animale del Mondo,
astrale, a sua volta distinto in spiritus mundi immundi, malvagio
(«spirito del serpente») e spiritus mundi liberato, raffigurato
dal simbolo del liocorno che riposa sul grembo della Vergine-Sophia.
Esiste ancora un secondo Spirito del Mondo che partecipa ad un ordine
superiore celeste e che Baader identifica a volte con la Sophia. Lo
Spirito del Mondo astrale è una sorta di supercoscienza universale con
la quale si trova in rapporto la coscienza di ciascuna creatura. Baader
riporta l’allegoria di Tommaso d’Aquino in cui due uomini che possiedono
un occhio in comune hanno una sola visione, pur essendo due veggenti
distinti. A sua volta, Baader inventa l’allegoria di due sorelle siamesi
che avvertono la medesima puntura nella parte del corpo in comune. Così
i fisici hanno torto a considerare gli elementi della Natura come dei
semplici elementi e non come dei centri attivi. È proprio la possibilità
nel pensiero baaderiano di un doppio Spirito del Mondo, celeste ed
astrale, a segnare la differenza con l’idealismo tedesco, in
particolare, con Schelling. Lucifero entra nel principio d’egoità della
Natura: principio che dovrebbe essere senza volontà, impersonale, ma
che, attraverso l’azione dell’angelo ribelle, acquista una personalità
ed un essere-per-sé usurpatore. Per Baader la parola
«philosophia» rinvia oltre il senso comune che designa e circoscrive la
filosofia moderna: il termine ha un significato originariamente
religioso che consente all’uomo d’identificarsi con la Sophia
trascendentale, senza peraltro avanzare la pretesa di un possesso
esclusivo. È una concezione che Baader assimila dal lógos
eracliteo o dall’intelletto attivo aristotelico, oltre che dalla mistica
dell’essenza cristiana: la percezione di una Sapienza o Guida
trascendentale con cui la spirito individuale può identificarsi
attraverso un processo ascensionale, anabatico. Essa è universale
e comune a tutti gli enti, ma per raggiungerla ci si deve spogliare dei
limiti del principium individuationis: in nessun caso, l’uomo può
identificarsi direttamente con essa come pretendono di fare i panteisti,
o i discepoli di Schelling che disseminano la centralità del Lume in
numerosi astri parziali e periferici. Come per Boehme, anche per Baader
la fonte tenebrosa assurge a principio ontologico: un dolore originale
che emana da una regione oscura e profonda. Il secondo principio è la
forma luminosa: la luce esce dalle tenebre come un neonato dal grembo
della madre. La luce che si espande è assimilata da Baader allo Spirito
Santo. Il regno di Dio è simboleggiato dalla luce, la collera dalle
tenebre. Ma l'essenza divina è sempre la stessa che si manifesta nelle
regioni superiori come luce benevola, ed in quelle inferiori come fascio
di luce terrificante.
Il fuoco senza luce è soltanto divoratore, ma
quest'ultima divora a sua volta il primo conferendogli dolcezza e realtà
e ricevendo in cambio forza e vita. Entrambi desiderano la tenebra
vertiginosa che costituisce la loro radice: il fuoco si alimenta della
tenebra e quest'ultima serve alla manifestazione della luce. Baader
paragona il fuoco all'Albero della Vita che attira la tenebra dal basso
e la luce dall'alto. Baader- come Paracelso- identifica il fuoco con il
Padre, caos divino non sostantivato, natura creata non creata, Ensoph;
la luce con il Figlio, luce, natura creata et creans. Baader
respinge il dualismo ontologico: il principio delle tenebre, lungi
dall’essere malvagio in sé, costituisce la base stessa della «vita della
Natura» e del ternario dei Lumi. Se le tenebre non sono malvagie nella
loro essenza, il male non possiede una vera e propria realtà ontologica.
Il male deriva da una mancata armonia tra la tenebra e la luce. Il male
si attualizza- le tenebre diventano autonome- soltanto se il lampo
abdica alla sua funzione di liberatore della luce.
Per Boehme i primi tre Spiriti-Fonte costituiscono il
«ternario della collera»: l’«acro», il «dolce», l’«amarezza». Il quarto,
il «lampo» («calore» o «fuoco» ), serve da transizione verso gli ultimi
tre: l’«amore» o «Lume», il «Figlio», lo «Spirito Santo». Baader rimane
fedele a questo schema, applicandolo alle forme della Natura. Dal
«centro della Natura», il «ternario delle Tenebre», si genera un
movimento inquieto soggetto a forze espansive e regressive. La
quarta forma della Natura, il «fuoco», come per Boehme, assume la
funzione separatrice tra i due ternari, attualizzando il «ternario
positivo della Luce» o «centro della Vita». Questo processo si riproduce
in tutte le forme viventi. Alla base dell'essere si trova il doppio
Centro della Natura e della Vita. Per passare al secondo si deve
dapprima chiudere ed occultare il primo. Il primo Centro è l'«in-sé», il
raccoglimento in se stesso, il secondo il «per-sé», la proiezione
nell'Altro, la fuoriuscita, l'ek-stasis. Dal «centro di Natura»
scocca il lampo che trafigge: atto simboleggiato da una croce circondata
da un cerchio, rappresentazione allegorica della seconda tappa del
cammino della nascita. L’epifania della luce accecante prodotta dalla
folgore è la terza tappa. Il dardo luminoso oltrepassa il «centro di
Natura» e segnala il discrimine tra oscurità e luminescenza. Baader
chiama questo lampo anche «fuoco». La teofania articolata nel ternario
tenebra-lampo-luce si riproduce dappertutto nella Natura. La
folgore che scocca dal «centro di Natura» incontra dapprima la
resistenza interna della tenebra, finché non prevale la volontà di
manifestazione. Allora, si produce la combustione di questo fuoco
tenebroso e l’epifania della luce: secondo la consueta applicazione dei
mitologemi biblici alla Naturforschung, per Baader il lampo è il
Padre diretto della luce e Signore assoluto della Natura. L’irrompere
del lampo è l'atto ontologico dell'Ungrund che si svincola dal
fondamento originale, penetra profondamente in se stesso e si struttura
in un secondo fondamento, illuminandosi. Il medium che rende possibile
l'estrinsecazione è l'immaginazione creatrice che Baader identifica con
la «magia» o con il «magnetismo animale»: perché sia possibile l'esodo
dal «centro di Natura» è necessario che l'immaginazione metta in azione
la volontà.
Nel pensiero teosofico l’immaginazione è creatrice
perché il soggetto che immagina non si distingue ontologicamente
dall’oggetto immaginato. Cristo non credeva, ma contemplava: Egli stesso
è la Luce del Mondo. Non si può separare il dono esterno dal dono
interno, la luce interiore da quella esteriore. La luce è intelligenza
architettonica, potenza regolatrice di ciò che vede e di ciò che è
visibile, del soggetto e dell'oggetto. La Natura, nella sua unità
ontologica, produce dei figli o un verbo che si può chiamare il lume
interiore, allo stesso modo in cui la luce può essere considerata come
il verbo esteriore.
L'uomo si deve preparare attraverso l'immaginazione
ad accogliere ciò che chiede di abitare dentro di lui. In questo senso
per Baader, come per Saint-Martin, il desiderio è immaginazione
creatrice: ciò che l'uomo immagina o desidera si propaga, formandosi e
generandosi nell'anima. La facoltà dell'anima di generare delle immagini
è la facoltà del desiderio. Ma la volontà dell'uomo deve soffermarsi
soltanto sull'idea di Dio. L’immaginazione non deve dunque generare
nessuna immagine particolare al di fuori di quella divina, assimilando
ad essa tutte le altre visioni che si formano nell'animo.
La teosofia di Baader cerca di porsi come mediatrice
e sintesi delle posizioni speculative del tempo, trovando una via
intermedia tra il naturalismo schellinghiano e l’idealismo hegeliano.
Non si deve dimenticare che il secolo che sta per finire schiude le
porte a quel positivismo che cerca nel dominio della Natura il compito
assegnato da Dio all’uomo. Baader quindi persegue- come a suo tempo
Oetinger- un progetto olistico e sistematico volto ad integrare i dati
della Naturphilosophie con il moderno metodo scientifico. Ma a
differenza del pensiero orientale- come anche della mistica
renano-fiamminga- la Naturphilosophie non arriva mai a teorizzare
l’Unitas Spiritus tra Atman e Brahman o tra
microcosmo e macrocosmo: la mediazione tra i due livelli passa
necessariamente attraverso l'Anima Mundi, così come l'anima media
tra il corpo e lo spirito. Non a caso Baader si oppone al panteismo
spinoziano, ma lo stesso discorso potrebbe valere, forse, anche per lo
zen ed il chan dove la Natura-Tutto è assimilata a Dio ed
al Sé (che tuttavia non è imperituro come nell'induismo). La
Naturphilosophie e la
teosofia postulano la possibilità di un mesocosmo che funge da
intermediario tra il piano delle contingenze ed il piano delle essenze:
quello che oggi definiremmo «immaginale» e che è stato chiamato
mundus imaginalis da Henri Corbin. In particolare, lo studioso
francese ha mostrato come la sophianità costituisce il trait
d'union, l'intermediario psichico tra il mondo sensibile e la
dimensione trascendente, tra la materia e le idee. Una dimensione che
permette di superare il dualismo cartesiano tra spirito e materia,
scongiurando il pericolo di visioni nichilistiche catalizzate sulla
possibile presenza di un deus otiosus o, al contrario, di un Dio
«protettore di tutti gli eserciti»: visioni dove l’uomo dopo la Caduta
assume l’avvilente ruolo di straniero-nel-mondo. Secondo Corbin è
proprio la sophianità che garantisce la presenza divina in questo
mondo.