Il
Confine Labile fra Visibile ed Immaginabile
di Paola Geranio
Lo studio del corpo nell’arte, come del resto lo studio del corpo a livello
scientifico, si è sempre sviluppato per frammenti, basti pensare alle tavole di
Leonardo ( fig.1 e 2), che meticolosamente classifica le parti come componenti
di un tutto trattandole però come
elementi divisi.
Nel concetto scientifico, identificare il singolo pezzo come parte da analizzare
risulta necessaria alla buona conoscenza del complesso studiato, nell’arte
invece, la capacità di “smontare” un elemento e renderlo a se stante lo
glorifica e lo rende unico, conferendo allo stesso un significato ed una valenza
ben maggiori di una mera parte componibile. La struttura generata dalla capacità
di rifunzionalizzare un singolo elemento conferisce distacco e capacità
interpretativa, spostando l’osservatore da un punto certo (quello scientifico)
ad uno incerto (quello artistico) carico di immaginario e capacità creative.
I rimandi ad una relazione anatomico- scientifica tra arte e studio del corpo
umano nel corso della storia dell’arte, passano inevitabilmente nelle
raffigurazioni di Rembtandt _Lezione di anatomia- (Fig.3) in cui la ricerca
della verità scientifica viene riprodotta fedelmente ma allo stesso tempo
reinterpretata in chiave simbolico- teatrale, quasi a conferire una sacralità
estrema ed indissolubile ad un gesto apparentemente asettico e privo di
moralismo.
Nei ritratti della vanitas la
volontà di andare oltre la rappresentazione scientifica è dichiaratamente
dimostrato dalla capacità degli artisti di conferire sentimento e
interpretazione poetica al disegno anatomico.
La tela di Bernardo Strozzi –Vanitas ( la vecchia civetta) del 1637
è un chiaro esempio del concetto anatomico interpretativo in chiave
sentimentalistica (fig.5). Nel ritratto dello Strozzi le componenti anatomiche
evidenti in primo piano, i nervi scoperti del corpo e le guance scavate a
rimarcare la presenza di un cranio evidente sotto la pelle lasciano il posto al
sentimento ed al coinvolgimento emotivo, la rappresentazione anatomica diviene
pretesto interpretativo.
Sia nel tempo antico che nei tempi più attuali la crescente riconducibiltà ad un
modello comune anatomico spesso finisce per condurre ad una mortificazione delle
forme, abituando l’osservatore alla semplice
ed evidente icona del fisico.
Il fatto di riuscire a ricondurre parte di un intero (e quindi una parte quasi
astratta di una rappresentazione) ad un modello già conosciuto ci rende fruitori
e decodificatori di realtà al tempo stesso. La fruizione dell’immagine stessa
senza la sua evidente appartenenza rende l’osservatore parte della decodifica,
lo rende verbo ed immaginario, ecco che chi osserva si ritrova ad essere
mediatore, in una realtà soggettiva che non rispecchia l’obbiettività del reale
ma solamente una sua possibile interpretazione.
L’onirico prende forma da ciò che
conosce per sfociare in immagini e scenari che la mante, reduce di un retaggio
personale, identifica ed interpreta in modo unico ed irripetibile.
Paradossalmente più un’immagine,
nel suo intero, ci risulta naturalmente comprensibile, più siamo condotti a
credervi ed a dare ad essa veridicità , trascendendo il visibile.
Come le figure realistiche- immaginifiche di Ron Mueck (fig. 6A e 6B) che
spiazzano lo spettatore per la loro perfezione
e lo spostano da un punto certo alla domanda del
“dove, come?” impedendo un collocamento adeguato all’opera, perché sempre
troppo grande o troppo piccola ma mai nella misura conosciuta e ordinaria.
Nel caso ciò non avvenga immediatamente si può incorrere nella possibilità di
astrarre l’osservato, e creare una concettualizzazione, creare cioè un’ altra
realtà, una realtà “alternativa” volta al riconoscimento immediato.
Il riconoscere immediatamente ciò che si osserva non è cosa banale o facilmente
ignorabile, è parte di un’esigenza della psiche umana insita in ogni essere,
avviene naturalmente, la si ricollega ad una sorta di “spirito di sopravvivenza”
.
Senso di appartenenza e senso di riconducibilità al conosciuto sono elementi
intimi , si fanno carico in altre
parole di mantenere l’uomo in una sorta di confine non allarmistico diretto ad
una visione altra rispetto alla mera sopravvivenza della specie.
A tal proposito sono un esempio i lavori di un artista italiano contemporaneo
Dany Vescovi, che utilizzando ingrandimenti macro di strutture acquatiche,
anatomiche e ingrandimenti al microscopio trasforma la trama ed il decoro in una
figura decorativa astratta ed allo stesso tempo figurativa
(fig.7).
Vino
rosato fotografato al microscopio
La rottura tra reale e naturale si accentua con la venuta del cinema, elemento
dissacratorio per eccellenza nei confronti del corpo e delle sue forme. La
macchina da presa rapisce l’osservatore e lo catapulta a livello empatico in un
vortice di sensazioni amplificate e identificate nel cui turbine, la capacità di
decontestualizzare l’osservato diviene molto difficile.
Buñuel insieme a Dalì nel 1929 creano il cortometraggio : ”Un chien andalou” ed
in una scena famosissima viene mostrato un occhio tagliato in due da una lama di
rasoio (fig. 8), al giorno d’oggi, il nostro occhio abituato e viziato a ben
cose peggiori viene comunque infastidito da un’immagine tale, si pensi quindi
cosa poteva suscitare e che potere evocativo e distruttivo avesse al tempo.
Giacomo Balla – Bambina che corre sul balcone- 1912
L’instaurazione di rapporti paradossali tra arte e scienza rimanda al confine
che la carne ed il sangue instaurano con la natura umana e con ciò che ne
deriva. La capacità dell’uomo di essere un’entità empatica e ricettiva rende la
sua mente e le sue capacità molto più elastiche ed espandibili di quanto si
creda, così, a volte, si possono scorgere opere di estrema crudezza e bellezza,
nelle quali è riassunto tutto il genere identificativo del soggetto con
l’oggetto osservato e percepito.
Nelle vivisezioni sin dall’antichità per poter studiare, capire,e
ottenere risposte che la sola esteriorità non era in grado di dare si è
arrivati ad una definizione di sano e malato che aveva confini ben precisi.
L’arte si inserisce in detti confini come un filo unificatore, una cucitura che
mostra due lembi della stessa coperta, dissimulando le convenzioni in fantocci
da bruciare e ricostruire per poter ri-distruggere. Questo il lavoro di Marc
Quinn, che utilizza il proprio sangue come materiale nobile per un autoritratto
(fig. 9) ed elegge a modelli d’eccellenza corpi menomati e invalidi (fig.10) ,
dando loro vita eterna e valore assoluto nel marmo lucido e liscio come le
statue greche che personificavano la perfezione umana, collegando uomo e divino
attraverso l’osservazione e contemplazione dell’anatomia assoluta.
Articolo pubblicato nella rivista
LexAurea42,
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