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AGHORA
David Barra |
"Il mondo Ti considera infausto, o Distruttore che giochi nello smashan, cosparso delle ceneri delle pire funerarie, che indossi una collana di teschi umani, con demoni che divorano i cadaveri per compagni. Ma per quelli che Ti ricordano con devozione, o Tu elargitore di doni, sei supremamente auspicioso"
(Shiva Mahimna Stotra, 24)
Nella antica città indiana di Benares arde da millenni un Fuoco Sacro inestinguibile. La lucente città di Shiva è il sempiterno teatro dell'incessante ardore delle pire funebri, perenni, molteplici, costanti, disposte a centinaia, lungo le sponde del divino Gange. Il Manikarnika Ghat (detto anche Mahasmashan) è il più grande campo di cremazione della città, ed è uno dei luoghi più sacri di tutta l'India; bruciare al Manikarnika il proprio corpo fisico, giunto ormai al termine della sua effimera esistenza, è una delle massime aspirazioni di ogni induista. Da ogni parte dell'India e anche oltre, centinaia e centinaia di persone, anziane e malate, si recano lì ogni giorno ad attendere serenamente la propria dipartita, mentre dai treni vengono scaricati innumerevoli corpi umani, ormai già privi di vita, giunti anch'essi da molto lontano per poter avere accesso al sacro fuoco di Benares. In quel luogo dove l'aria è satura di morte, dove il denso fumo delle cremazioni compenetra ogni cosa con il suo acre odore, lì dove grossi uccelli neri si contendono voracemente brandelli umani ed ossa, in quel luogo dove uomini e donne d'ogni casta e d'ogni età divengono cenere in egual maniera, è lì che è possibile scorgere l’ Aghori in meditazione accanto alla pira. In sanscrito il termine "Ghora" significa "tenebra", "oscurità" "ignoranza", quindi con l'aggiunta della A privativa si ottiene "Aghora", ossia mancanza di oscurità, dissipamento delle tenebre dell'ignoranza, luce, verità. L'Aghori è un sadhu, un asceta che ha intrapreso un particolare cammino di purificazione alla ricerca della verità suprema, ma ciò che contraddistingue gli Aghori dai tanti altri sadhu hindù è la loro singolare condotta di vita.
Gli Aghori mangiano qualsiasi tipo di carne, a volte perfino carne umana, in genere pezzi di cervello estratti dai crani con i quali stanno sempre a stretto contatto (i teschi umani sono anche la loro ciotola per il cibo ed il loro bicchiere). Fanno spesso uso di alcolici, cannabis e hashish, e durante alcuni dei loro rituali assumono atteggiamenti che per la società hindu' sono considerati di estrema impurità, come ad esempio l'avere rapporti sessuali (talvolta incestuosi) con donne durante il loro ciclo mestruale, assumere oralmente feci, mestruo, urina, pezzi di carne in decomposizione. I corpi senza vita sono una costante nelle loro pratiche, è abitudine per loro meditare adagiati ai cadaveri in putrefazione e sono sempre circondati da simboli di morte, non a caso, come Shiva nel suo aspetto più terrifico, essi amano vagare tra le pire funerarie,cosparsi di cenere e adornati da frammenti umani tra cumuli di ceneri ed ossa calcificate (runda-munda) attorniati da cani scheletrici e sciacalli affamati. Gli Aghori si propongono di superare la barriera più difficile da abbattere per l'essere umano: quella dell'illusione, ossia ciò che infligge all'uomo la sua visione dualistica dell'esistenza: vita/morte, sacro/profano, bene/male, morale/immorale, ecc. Per fare questo devono distruggere tutte le convenzioni umane, tutte le sovrastrutture psicologiche, tutti i "taboo", devono infrangere ogni singolo "schema", ogni categorizzazione. Per gli Aghori la differenza che vi è tra "sacro" e "profano", tra "puro" e "impuro", tra "bene" e "male" altro non e' che frutto del MAYA (illusione). Lo "schifo", l'"orrore", l'"osceno", per gli Aghori sono semplici effetti dell'Ego, che altro non e' che un muro da abbattere. Fondamentale e' il superamento del concetto dualistico "vita/morte", questo è il motivo per cui sono continuamente circondati da scheletri e cadaveri: non esiste alcuna differenza tra la vita e la morte e l'Aghori deve riuscire ad assimilare dentro di se questa suprema realtà e deve riuscirci con ogni mezzo che la materia gli offre, deve superare il muro della dualità. Il Tantra e' per sua natura un percorso di purificazione alchemica, e l'Aghori Baba e' il maestro della via più "estrema" di tale purificazione, nota in Occidente anche come "Vama Marg" o "Via della Mano Sinistra": trascendere la materia grazie alla materia stessa, sperimentando quindi ogni aspetto di essa, anche il più inquietante, il più osceno, il più raccapricciante, il più doloroso; soltanto in questo modo l'asceta potrà essere purificato e libero dall'illusione. Data la sua particolare natura, tale cammino e' assolutamente riservato a pochissimi, proprio per questo motivo gli Aghori sono davvero molto pochi, oltre che poco conosciuti, basti pensare che in tutta l'India se ne conteranno al massimo un centinaio; il nucleo più noto gravita attorno all' ashram Kina-Ram e tra le pire funebri di Benares. Molte persone del luogo affermano che essi siano capaci di interagire con gli spiriti dei morti nei campi di cremazione e che dialoghino con loro grazie alle arti magiche di cui sarebbero grandi conoscitori. Non pochi affermano addirittura di aver visto degli Aghori riportare in vita alcuni defunti durante le loro sadhana shava (meditazioni sui cadaveri).
Filosofia Aghora
Tradizionalmente gli Aghori vengono definiti avadhut, ossia ricercatori spirituali giunti aldilà di ogni convenzione, di ogni preoccupazione, di ogni emozione, di ogni dogma sociale, morale o religioso. L'unico interesse nella vita di questi asceti è il concentrarsi nella perenne visione della Madre (Shakti) in ogni aspetto dell'esistenza, sia anche il più terrifico e orripilante, Ella è ovunque e qualunque cosa guardino gli occhi di un vero Aghori, essi vedranno sempre la Madre in tutto il suo splendore. Tale tradizione trae origine da un particolare aspetto del divino Shiva, per la precisione da uno dei cinque volti del Panchanana, noto anche come "Shiva dalle cinque teste", raffigurazione iconografica in cui il Signore della Distruzione della Trimurti hindù assume tutti i Principi divini. Tali volti sono collegati quindi al quintuplice potere della Divinità e trovano le loro corrispondenze anche con i cinque sensi e i cinque elementi
- Sadyojata (creatività – terra – olfatto)
- Vamadeva (conservazione – acqua – gusto)
- Aghora (distruzione/rigenerazione – fuoco – vista)
- Tatpurusha (illusione – aria – tatto)
- Ishana (liberazione - etere - udito)
Delle cinque facce di Shiva, Aghora è considerata la più terrificante, specialmente da chi è totalmente estraneo alla Tradizione, per altri invece, tale volto rappresenta non solo un importante principio universale, ma anche un vero e proprio cammino iniziatico. Aghora è la strada più semplice per giungere a Dio se chi la segue è svincolato dalle proprie barriere mentali, se egli è quindi il distruttore dei propri limiti egoici; allo stesso tempo essa è la strada più complicata e dolorosa se chi la segue non è ancora in grado di frantumare le illusioni generate dal proprio Ego, per poter così rigenerarsi in un nuovo stato di coscienza, quello della "non dualità" (Advaita). Come l'Aghori Baba Kina-Ram afferma nel Vivekshar, l'essere vivente (Jivatman), il Dio (Paramatman) e il Mondo creato, sono Uno, un tuttuno in cui non vi è alcuna distinzione. Tale realta' ultima (Nirguna-Brahman) è quindi libera dalle tre qualità fondamentali, o guna: sattva, rajas e tamas (equilibrio, dinamicità, inerzia). Questo Dio senza forma pervade tutte le cose ed e' come lo spazio che pervade l’intero Cosmo. Quando invece il Divino è concepito da un punto di vista devozionale (Bhakti), lo stesso Nirguna-Brahman viene diviso in due categorie separate: "adorato" e "adoratore". A tal punto il Jivatman e' chiamato Hamsa (cigno) mentre Parmatman (Dio) e' chiamato Paramhamsa, il grande cigno. Quando un Jivatman, un cigno, raggiunge la completa liberazione, egli ascende alla categoria di grande cigno (Paramhamsa). La distinzione tra Jiva e Parmathman (o Brahman) sorge per l'intervento di Avidya (ignoranza), ossia l'atto di imporre con la mente una caratteristica fittizia sulla vera natura di qualcosa. Uno dei più popolari esempi per descrivere tale condizione è quello della corda e del serpente. Se camminando in un bosco di sera, quando c’è poca luce, scorgiamo una corda attorcigliata su se stessa nella penombra, essa potrà facilmente apparire ai nostri occhi come un insidioso serpente, allora la nostra mente avrà paura di quella innocua corda perché la percepirà come una minaccia e molto probabilmente presi dal timore scapperemmo via; ma se invece riuscissimo ad avere il coraggio di avvicinarci, di osservare meglio la corda e di toccarla con mano, allora il serpente minaccioso, frutto dell’ ignoranza, svanirà in un istante. La nostra ignoranza ci fa percepire ogni cosa illusoria come quel serpente (maya); l’Aghori Baba Kina Ram ci insegna che vivere nell’illusione equivale ad uno stato di perenne incatenamento (upadhi), divenire liberi da tale oppressiva condizione e concepire la vera natura dell’Universo, come quando si afferra la corda con la mano, equivale alla completa liberazione (samadhi). Il Samadhi si raggiunge dissociando la mente dagli aspetti superficiali ed illusori del mondo, permettendo così al Jiva di contemplare la sua vera natura, ossia Brahman. Tutto ciò che noi percepiamo in realtà è effimero, anche il nostro corpo fisico. Le nostre aspirazioni, i nostri desideri, le nostre aspettative, le nostre convinzioni, finiscono tutte con il corpo, quindi concependo realmente la nostra natura corporea come temporanea e relativa, cesserà di esistere l’identificazione con il nostro corpo fisico e quindi con le brame materiali generate dall’ego: questo è difatti il fine di ogni cammino ascetico. La distinzione illusoria tra Jiva e Brahman è in un certo senso il prodotto dello stesso processo della creazione. Baba Kina-Ram lo descrive in tal modo: all’inizio vi era il senza forma, il senza nome, l’Essere Primo (Sat-Purusha), dal Suo desiderio esplose un immenso universo che diede vita alle tre divinità maschili: (Brahma, Vishnu e Shiva) e all’energia femminile (Shakti), da questi emersero i cinque fondamentali elementi: Akâsha, Vâyu, Têjas, Ap, Prithvî (Etere, Aria, Fuoco, Acqua e Terra) da cui si formò l’intero Cosmo. Dato che tutto fu creato dagli stessi elementi primari, ciò che esiste fuori dal mondo esiste anche all’interno dell’essere; quindi finchè il Jiva si auto-identificherà con la realtà effimera, mutevole e impermanente, esso resterà fondamentalmente limitato ad essa, fino a quando esisterà l’ego che limiterà la natura del Jiva, esso non si identificherà mai con l’Atman (e quindi con il Brahman). Come ci insegna Baba Kina-Ram, con la pratica del sadhana, lo Yogi dissocia i propri sensi dal mondo esterno e mette a fuoco ciò che giace all’interno di sè: il luminoso mondo del sempiterno Brahman, tale processo di ricerca alimenta l’Amore per il Divino e lo focalizza all’interno dell’uomo.
Baba Kina-Ram
Gli Aghori affermano che la loro tradizione ebbe inizio con il divino Shiva e che fu poi ripresa da Dattatreya e reintegrata nel diciassettesimo secolo da Baba Kina-Ram. Egli nacque nel 1536 nel villaggio di Ramagarh, vicino Benares, dove è da tutti considerato un santo illuminato. Nonostante la sua riluttanza, all’età di dodici anni fu costretto a sposarsi secondo i costumi dell’epoca; si narra che tre giorni prima della data prevista per le nozze, il giovane volle a tutti i costi mangiare un piatto di riso bollito nel latte, pietanza generalmente considerata di cattivo auspicio, essendo tradizionalmente consumata in occasione delle ricorrenze funebri. Il giorno seguente, la famiglia del giovane Kina-Ram ricevette l’infausta notizia del decesso della fanciulla promessa in sposa al ragazzo, tale evento destò lo stupore di tutti coloro che lo videro mangiare cibo di lutto il giorno prima dell’accaduto. Alcuni anni dopo abbandonò casa e famiglia e vagò errando solitario finche giunse al villaggio di Gazipur, dove risiedeva il santo Shivaram della setta dei Ramanuja; Kina-Ram decise di dedicare se stesso al totale servizio del Guru e così fece per un certo periodo di tempo. Shivaram era anche un uomo sposato, un’asceta capofamiglia, e il giorno in cui la sua prima moglie morì decise di sposarsi nuovamente, a Kina-Ram tale cosa non piacque ed andò via errando senza meta, alla ricerca di un nuovo Guru. Giunse così al villaggio di Naidih, dove s’imbattè in un’anziana donna che sedeva in lacrime solitaria, le chiese quale fosse il motivo della sua sofferenza ed ella rispose che gli uomini dello Zandimar avevano rapito suo figlio poiché non era riuscito a pagare le tasse; Kina-Ram si recò quindi al palazzo dov’era rinchiuso il prigioniero e chiese che questi venisse lasciato libero; lo Zandimar rispose che avrebbe acconsentito alla sua richiesta soltanto in cambio di oro; a quel punto Kina-Ram chiese ai guardiani del palazzo di scavare la terra posta sotto i piedi del giovane prigioniero e quando lo fecero trovarono un immenso tesoro. Il ragazzo fu lasciato libero e sua madre lo convinse a seguire Kina-Ram come un fedele discepolo; anche il maestro accettò di tenerlo con se ed iniziò il suo lungo viaggio presso Girnar assieme al suo nuovo amico di nome Bijaram.
Giunti alla meta, Kina-Ram andò a meditare da solo sulla cima del monte, dove gli apparve Dattatreya che lo iniziò alla Tradizione Aghora. Sceso dal monte tornò da Bijaram e si recò assieme a lui presso Junagadh. Si racconta corresse l’anno 1668 quando Bijaram venne rapito dai musulmani che regnavano nella città di Junagadh, mentre praticava l’elemosina per le strade come prescritto dalle sue pratiche ascetiche. Giunto nella prigione, Bijaram vide che quel luogo era pieno di asceti che venivano utilizzati per macinare il grano girando a mano i mulini. Durante la sua meditazione Kina-Ram percepì il rapimento di Bijaram; scese anch’egli per strada a chiedere elemosina e la stessa sorte toccò anche a lui. In prigione gli affidarono un mulino con cui lavorare per macinare il grano, Kina-Ram ordinò a voce che il mulino facesse da solo il suo lavoro, ma non accadde nulla, allora lo colpì forte con un bastone e tutti i novecentottantuno mulini presenti nel carcere si azionarono da soli e macinarono tutto il grano. Quando il governatore islamico venne a sapere di tale miracolo volle parlare direttamente con Kina-Ram e lo invitò a palazzo al suo cospetto assieme al suo discepolo Bijaram. Giunti al palazzo del potere, il governatore musulmano offrì delle gemme preziose al miracoloso prigioniero che aveva d’innanzi a se, ma questi se le infilò in bocca e poi le sputò via, affermando che le pietre preziose non sono né dolci né acide. A quel punto il governatore chiese a Kina-Ram un’altra occasione per poterlo servire e l’asceta rispose: “Se questo è ciò che vuoi, dona due libbre di farina in mio nome ad ogni asceta e cercatore che viene nella tua città.” Il governatore acconsentì e lasciò liberi tutti i prigionieri.
Kina-Ram si spostò in ritiro sull'Himalaya per un lungo periodo di pratiche ascetiche; successivamente s’incamminò verso Benares, dove raggiunse il campo di cremazione di Harishchandra Gath. In quel luogo dimorava un’asceta Aghora di nome Baba Kaluram, che era solito parlare con le teste dei corpi che aspettavano di essere cremati sulla pira. Quando vide Kina-Ram, Kaluram gli rivelò che era molto affamato e chiese lui di procurare un po’di pesce. Kina-Ram guardo' il Gange e disse "Ganga dammi un pece" ed un grosso pesce saltò fuori dall'acqua cadendo sulla riva. Kina-Ram lo arrostì e lo mangiarono assieme. Poco dopo, Kaluram osservò un corpo senza vita che galleggiava sul fiume; “Guarda quel corpo, viene verso di noi” disse rivolgendosi a Kina-Ram ed egli rispose: “Non e' un corpo, è vivo!”. Allora Kaluram lo sfidò: "Se è vivo chiamalo". Kina-Ram urlò verso il corpo, questi galleggiò verso di lui e poi si alzò in piedi sulla riva, era un giovane ragazzo, “vattene a casa” gli disse Kina-Ram. Il giorno seguente la madre del ragazzo riportato in vita si recò dal santo Aghora che l’aveva resuscitato e disse: “Maharaj tu hai ridato vita al mio figlio, da oggi egli appartiene a te”, Kina-Ram prese il ragazzo con se e gli diede il nome di Ram Jiyawanram, questo fatto si pensa sia accaduto nel 1698 circa. Dopo aver visto ciò, Baba Kaluram rivelò a Kina-Ram la sua reale forma divina e lo portò a Krin-kund Shivala a Kashi (Benares) e gli disse che quello era il Girnar, e che tutti i luoghi di pellegrinaggio del mondo sono in realtà lì presenti (alcune persone credono che Baba Kaluram iniziò in quel momento Kina-Ram rivelandogli il Mantra Aghora, altri invece sostengono che egli fu già iniziato alla tradizione Aghora da Dattatreja al Girnar. Da quel giorno Kina-Ram iniziò a vivere al Krin-Kund e raccolse tutti i suoi pensieri e le sue memorie in un testo intitolato Vivekshar. Si dice che abbia lasciato la sua forma mortale nel 1714 circa, all'età di centocinquantuno anni.
Pratica Aghora
La natura dell’Aghora è come quella del Fuoco, esso non discrimina nessun corpo, nessuna forma, con le sue fiamme ardenti brucia qualsiasi oggetto, “puro” o “impuro” che sia. La via dell’Aghora dunque coltiva un modello di vita totalmente non discriminatorio, aldilà di qualsiasi dualismo o catalogazione. Se la natura del Fuoco è bruciare e purificare, anche l’Aghora svolge un compito di assoluta purificazione per il cercatore, facendo si che la sua mente ed il suo spirito siano cosi puri da giungere a vedere in essi come in ogni altra cosa, la luce della fiamma divina che arde in ogni essere della creazione. La tradizione Aghora è strettamente collegata anche alla setta Sarbhang, che è presente maggiormente in Bihar. Si parla di sei correnti di questa tradizione, iniziate da sei differenti precettori che sono appunto Baba Kina-Ram (di cui abbiamo parlato), Binakhram, Tekmanram, Sadanand Baba, Balkhandi Baba e Lakshmi Sakhi. Dunque sei diverse scuole di un’unica grande Tradizione. Gli Aghori o gli asceti Sarhbang che hanno ottenuto la liberazione sono chiamati siddha e il popolo si aspetta di essere aiutati da loro nel curare vari tipi di problemi fisici,mentali e spirituali. Nel Athara-veda, Rudra (lo Shiva vedico) viene descritto come il grande dottore che cura i problemi causati dagli spiriti e dai fantasmi e i cani sono visti come suoi compagni. Questa rappresentazione di Rudra è traslata negli Aghori e dei Sarhbang di oggi.
Gli Aghori possono essere divisi in due diverse categorie: i Nirvani e i Gharbari. Mentre i Nirvani puntano alla rinuncia dei beni materiali e alla pratica solitaria in luoghi tipici come campi di cremazione; i Gharbari possono essere anche sposati, avere una famiglia e condurre le loro pratiche tantriche tra le mura di casa. Baba Kina-Ram e Baba Binakram appartengono alla categoria Nirvani, ma la tradizione iniziata da Binakhram ha sempre un capofamiglia all'interno della stessa. Tra le più abituali pratiche degli Aghori, vi è quella di strofinare le mani sulla terreno appena alzati la mattina, la terra è la Madre e tale gesto permette all’Aghori di assorbirne parte delle energie, essi recitano i loro Mantra ogni volta che siedono sul proprio letto, non meditano su nulla ma li ripetono per centinaia e centinaia di volte. In genere gli Aghori cercano di condurre una vita in cui non ci si affanna mai per nulla ma nello stesso tempo cercano di non rimanere in alcun modo inattivi; per acquistare maggiore concentrazione si recano sempre ai campi di cremazione. I luoghi di meditazione prediletti dagli Aghori sono cinque: l'albero di Peeppali (ficus religiosa), il tappeto di erba Moonj (Saccharum bengalensis) , il letto di una prostituta, il letto della propria moglie ed il campo di cremazione (smashan) dove praticano sadhana shava con i cadaveri. Normalmente gli Aghori indossano un vestito di lino rosso che sta ad indicare l'energia creativa femminile ma durante i periodi di intense pratiche spirituali indossano un vestito blu o nero per far si che li protegga dalle energie che potrebbero ostacolarli. Trasceso il periodo di intenso tapas, agli Aghori è consigliato indossare vestiti bianchi che rappresentano la coscienza purificata. In determinate occasioni essi praticano il rituale del Panchamakara, noto anche come “Cerimonia delle cinque M”, che consiste nell’utilizzo di Matsya, (pesce) Mamsa, (carne) Madya,(alcool) Mudra,(cereali) e Maithuna (amplesso). Tale rituale è un atto di culto molto importante ed è preceduto da un lungo periodo di astinenza. I partecipanti si riuniscono tutti in un luogo prestabilito e adibito alla cerimonia; si dice che i preliminari di tale rito consistano nell’assunzione di grosse quantità di hashish e di varie droghe allucinogene. Successivamente i partecipanti si dispongono tutti in circolo seduti per terra, uomo e donna alternati ed ogni donna siede alla sinistra dell’uomo che sarà poi il suo partner sessuale. La cerimonia è condotta da un sacerdote posto al centro del cerchio con una donna nuda alla sua sinistra; durante tutta la durata del rituale, la donna al centro del cerchio sarà considerata di fondamentale importanza; particolare risalto è dato alla sua vulva (yoni), che rappresenta il potere creativo del Cosmo ed è dischiusa all’attenzione principale di tutti i presenti. Se è vero che per chi pratica questo genere di percorsi spirituali tutte le donne sono manifestazione di Shakti, è anche vero che per gli officianti al rito del Panchamakara, colei che siede alla sinistra del sacerdote è da considerarsi la vera e propria incarnazione della Dea per tutta la durata della cerimonia. Dopo che la vulva è stata adeguatamente onorata con carezze, olii ed essenze profumate, il sacerdote versa acqua, latte e vino su tutto il corpo della donna ripetendo ad alta voce alcuni Mantra; subito dopo ha inizio la prima copulazione, quella tra il sacerdote (che incarna temporaneamente Shiva) e la donna (Shakti) mentre il resto della congregazione osserva lo svolgersi del coito sacro che rimanda all’unione delle due polarità dell’Assoluto: la Coscienza e la Potenza.
Se la donna che incarna la Dea è anch’essa iniziata al Vama Marg, ella durante il coito onorerà il sacerdote ed il suo fallo (lingam) come il divino Shiva; tuttavia, molto spesso le donne scelte per questo genere di rituali sono prostitute prese dalla strada e “usate” per la cerimonia; talvolta si cerca di proposito la donna del livello più “infimo”(volendola definire in base ai canoni della società induista) e se ha anche qualche legame di parentela con il partner il rituale risulterà ancora più efficace; più vi è incompatibilità per un accoppiamento dal punto di vista sociale tra l’uomo e la donna che si apprestano a compiere il Maithuna, più accresce l’efficacia rituale dell’amplesso. Il sacerdote che copula nel cerchio con sua moglie compie un rito quasi o del tutto inutile, se si tratta della moglie di uno dei presenti, di una parente, di una donna di casta nettamente lontana dalla sua, allora l’unione sessuale ha una notevole utilità rituale. Dopo la copulazione iniziale del sacerdote e della sacerdotessa, i componenti del cerchio iniziano a consumare il pesce, la carne, i cereali ed il vino fino a quando tutti gli officianti non giungono ad uno stato in cui “esplode”l’amplesso generale. Durante il rito del Panchamakara, tutti i partecipanti (se iniziati al Vama Marg) pensano al proprio o alla propria partner come Dio in carne ed ossa, nelle loro menti è con Dio che copulano, vivendo l’esperienza dell’Unicità del Tutto, della non dualità, dell’abbraccio mistico di Shiva e Shakti che sono in realtà una cosa sola. Esistono comunque molti altri tipi di discipline rituali, la maggior parte delle quali sono coperte da assoluta segretezza e vengono trasmesse solo ed esclusivamente da discepolo a maestro. Ad ogni modo è l’intera vita di un asceta a dover essere considerata un unico grande rituale. In qualsiasi momento del giorno e della notte, l’Aghori è continuamente partecipe della sacra azione del volto infuocato di Shiva, le cui eterne fiamme ardenti purificano chi rinuncia alle illusioni dell’ego e bruciano chi nell’ego incatena la propria esistenza.
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