Uno Stretto Ponte tra Due Abissi

Di Carlo Caprino

 

Durante un fine settimana trascorso nel silenzio delle campagne senesi ed occupato in pratiche di gruppo incentrate sul valore dei simboli, è emersa l’importanza di alcuni assunti tanto fondamentali quanto a volte trascurati durante le pratiche.

Tra questi principi spiccavano la corretta respirazione, l’impiego di vocalizzazioni specifiche e le posizioni da assumere durante la pratica.

Queste ultime – in particolare – risultano spesso quasi come costrizioni a cui il praticante si sottopone obtorto collo tentando, quando possibile, di sfuggire da posture ritenute scomode o innaturali.

Chi guidava le pratiche ha sottolineato quanto vano (se non pericoloso) potesse risultare il lavoro di chi, con l’obbiettivo di comprendere e dominare forze ed energie a lui estranee, fosse poi incapace di comprendere e dominare il proprio corpo fisico, che più che un docile destriero si trovi a scalpitare come un imbizzarrito purosangue pronto a disarcionare il cavaliere che lo cavalca.

La pratica è un fine ed un mezzo, e se entrambi questi aspetti non sono ben compresi si rischia di fare la fine di quell’asino che, legato ad una macina, percorse chilometri su chilometri girando in tondo nel mulino, senza allontanarsi di un metro dal suo giogo.

Nell’eseguire le pratiche si è su uno stretto ponte che oscilla su due abissi, l’uno dei quali è la cieca e sorda aderenza passiva a modalità imposte dall’esterno, l’altro il voler fare di testa propria, ignorando regole e avvertimenti che chi ci ha preceduto lungo la Via ci ha lasciato.

Nell’uno e nell’altro caso sottile è la frontiera che divide la corretta esecuzione da quella errata; qualunque medicina ha effetto solo nelle giuste dosi; se queste sono scarse il farmaco è inefficace, se sono invece eccessive ciò che dovrebbe curarci può addirittura essere letale.

Ecco quindi che il praticante deve procedere lungo la Via cum grano salis, non ignorando ne’ gli ammaestramenti degli esperti e neppure i segnali e gli stimoli che da se stesso riceve come indispensabile feedback.

Istruzioni per l’uso

Al giorno d'oggi l'uomo dispone di una quantità di informazioni inimmaginabili solo poche decine di anni fa. Lo sviluppo di Internet, i supporti multimediali e la tecnologia basata sulla elettronica diffusa su larga scala hanno reso possibile a ciascuno avere a disposizione una biblioteca virtualmente infinita.

Capita così che chi non può (o non vuole...) affiancarsi ad un istruttore in carne e ossa, ricorra ad insegnamenti virtuali, attingendo a piene mani da Oriente come da Occidente, magari mescolando mantra e mudra, invocazioni ed evocazioni, asana e simboli in un calderone i cui ingredienti sono a volte decisi in maniera discutibile. Un libro o un sito internet forniscono a tutti la stessa in-formazione; ben diverso è l’operato di un istruttore coscenzioso e consapevole, che all’allievo da’ ne più ne meno di quanto abbia bisogno, che spesso differisce in quantità e qualità alle necessità del suo compagno.

Pratiche ed esercizi a prima vista inutili o fastidiosi hanno uno scopo che ben differisce da quanto appare ad occhi inesperti, e possono essere invece propedeutici ad acquisire una disciplina del corpo e della mente quanto ad apprendere principi e strumenti elementari su cui basarsi per pratiche più complesse, un po’ come le aste e palline che tanti di noi hanno tracciato con mano più o meno incerta all’asilo quando si imparava a scrivere o come è avvenuto al protagonista del film “Karate kid” che, stendendo la cera e pitturando una staccionata secondo le indicazioni del suo Maestro, impara il Karate senza rendersene conto.

 

Medico, cura te stesso!

Guardare l’altro distrae da se stessi; come definire il podista della domenica che vuole a tutti i costi emulare il campione allenato e si fa scoppiare il cuore nell’insano tentativo di eguagliare i risultati di chi è meglio allenato di lui, ignorando i segnali di crisi che il suo corpo gli invia prima di cedere?

 

Il Maestro, l’istruttore, l’esperto fornisce non già la conoscenza, che è individuale e va quindi esperita da ciascuno nei tempi e modi che gli sono propri, ma solo gli strumenti per acquisirla. Ciascun praticante quindi deve far tesoro degli insegnamenti che riceve, ma allo stesso modo deve “navigare a vista”, ovvero considerare sempre quanto e come questi risuonino in lui, sia per valutare eventuali progressi che per rilevare eventuali problemi e malesseri.

 

Qundi il praticante deve percorrere la sua Via cercando di non sconfinare ne’ in un individualistico “fuori pista” rispetto a quanto da altri sperimentato nel Tempo e neppure in una passiva quiescenza a tutto quanto propone il guru di turno. Nel primo caso il rischio di sbattere contro qualche albero o cascare in qualche crepaccio è – se non certo – probabile, tanto quanto nel secondo caso non è da escludersi il diventare pollo da spennare da loschi figuri o batteria energetica per eggregori più o meno benigni.

 

Stolto è allora colui che ignora le indicazioni distillate in secoli di pratiche praticate e racchiuse in miti e riti, altrettanto lo è chi si lancia sulle tracce di chi lo ha preceduto senza ben ponderare i suoi passi.

 

La nostra pratica in effetti è un cammino nelle sabbie, dove ci si deve guidare con la stella del Nord, piuttosto che con le orme che vi si vedono impresse. La confusione delle tracce, che un numero quasi infinito di persone vi ha lasciato, è così grande, e vi si trovano così tanti sentieri diversi, che conducono quasi tutti in orrendi deserti, che è quasi impossibile non deviare dalla vera via, che solo i saggi favoriti dal Cielo hanno saputo fortunatamente scoprire, e riconoscere.

 

A conferma di quanto sopra, durante il recente incontro a cui si accennava all’inizio, sono state proposte cinque "posizioni" (o asana, per chi ha più dimistichezza con la terminologia orientale...) uguali per tutti, che i partecipanti hanno via via assunto durante le pratiche; in un secondo tempo a ciascuno è stato chiesto di scegliere una delle posizioni assunte in precedenza, constatando che nessuna di queste è stata scelta da più del 20% dei partecipanti e rilevano quindi come sia possibile operare determinate scelte in base al proprio sentire, pur nell’ambito di una pratica organizzata e definita.

 

Voce come strumento

Altro interessante lavoro è senz’altro quello sviluppato intorno al respiro ed alle vocalizzazioni; sulla importanza e sul “potere” di queste ultime è stato scritto tantissimo e non è certo nelle intenzioni e possibilità del sottoscritto poter riassumere in poche righe un siffatto argomento. Basti ricordare che però questa peculiarità è ben nota tanto in Oriente come in Occidente: dal potere creativo del Verbo descritto nel vangelo di Giovanni a quello del kotodama dello scintoismo giapponese praticato tra gli altri da O’ Sensei Ueshiba Morihei fondatore dell’Aikido, passando dai mantra e dalla preghiera esicasta, gli esempi non mancano e anche in questo ambito ciascuno può cercare, nella vasta offerta, quanto più in sintonia con la propria pratica.

Non sono casuali termini quali “sintonia” e “risonanza” poiché il corpo fisico - durante la vocalizzazione - si comporta come la cassa armonica di un violino le cui caratteristiche, come è ben noto, sono diverse per ciascuno strumento in funzione di forma, dimensioni, materiali e stagionatura del legno.

Va da se quindi, che lo stesso mantra, la stessa preghiera, la stessa invocazione risuonerà in maniera diversa a seconda di chi la pronuncia e addirittura, per lo stesso praticante, in maniera differente in funzione dell’inflessione e dello stato d’animo.

In queste righe volevo però ricordare, soprattutto a me stesso, l’importanza – anche in questo caso – di una pratica attenta alle indicazioni ricevute non disgiunta da un ascolto attento delle proprie sensazioni, al pari di quanto detto in merito alle posizioni da assumere.

A evidenziare la necessità della corretta esecuzione della ritualia, pena sgradita conseguenze, riporto un passaggio del Kojiki, uno dei libri più antichi della storia umana che raccoglie miti e aneddoti relativi alla nascita del Giappone.

 

YAMATOGONIA

Izanagi e Izanami scesero su quella piccola isola e là innalzarono un palazzo. Ma il loro lavoro era appena iniziato: a parte quel piccolo scoglio deserto, il mondo era ancora una massa di acqua senza forma. Non vi era nulla: né piante né animali né creature viventi, e il paesaggio era piatto e spoglio. Izanagi e Izanami cominciarono a riflettere su come proseguire la loro opera di creazione ed Izanagi si trovò a chiedersi perché proprio loro due fossero stati scelti per scendere sulla terra.

Izanagi chiese a Izanami: “Sorella mia, dimmi, com'è fatto il tuo corpo?”

“Il mio corpo è compatto e ben fatto” ella rispose. “In un sol punto esso presenta una strana rientranza.”

“Anche il mio corpo è compatto e ben fatto” fece lui “Ma in un sol punto presenta una strana sporgenza. Tutto ciò, io credo, non può essere senza un motivo. Ascoltami bene, sorella. Se mettessimo la parte del mio corpo che sporge in quella parte del tuo corpo che rientra, che cosa credi che accadrebbe?”

“Proviamo” disse Izanami. E si levò da terra e corse intorno alla colonna che si ergeva al centro della casa. Izanagi le andò incontro dalla parte opposta e i due giovani si abbracciarono con trasporto.

“Che giovane amabile!” disse Izanami.

“Che splendida fanciulla!” replicò Izanagi.

Presto Izanami scoprì di essere incinta, e quando venne il momento del parto, ella diede alla luce un bambino debole e privo di ossa, a cui fu messo nome Hiruko, «bimbo-sanguisuga». I genitori, disgustati, lo misero su una barca di canne e lo abbandonarono in mare.

“Questo figlio non è stato ben concepito” disse Izanagi. “Dobbiamo avere sbagliato qualcosa. Andiamo a chiedere spiegazioni.”

Allora Izanagi e Izanami salirono sul Ponte Fluttuante del Cielo e andarono a interrogare gli dèi. Questi risposero: “Il concepimento di Izanami non è andato bene perché nel vostro incontro la donna ha parlato per prima. Ripetete la cerimonia nuziale ancora una volta e che l'uomo parli per primo!

Izanagi e Izanami ridiscesero dal cielo e tornarono a girare intorno alla colonna al centro della loro casa.

“Che splendida fanciulla!” disse Izanagi.

“Che giovane amabile!” replicò Izanami.

Fu così che Izanami si trovò di nuovo incinta e i figli che nacquero da lei furono grandi e possenti divinità. Essi proseguirono l'opera di creazione dei loro genitori formando altre otto grandi isole che formarono lo O-ya-shima-kuni, il «Paese delle Otto Grandi Isole». A queste si aggiunsero poi altre sei isole minori e così fu creata la divina terra di Yamato, il Giappone.

 

Pur con la consapevolezza che si tratta di tratta di un racconto mitologico, appare evidente che è stato sufficiente che i due protagonisti non rispettassero il corretto ordine nella pronuncia delle loro esclamazioni per condurre ad un risultato disastroso.

 

Conclusioni

Come detto in precedenza, lo scopo che queste note si prefiggono altro non è che ricordare (allo scrivente in primis) l’importanza del corretto approccio alla pratica e quanto sia indispensabile non trascurare e non dare per scontati neanche quei particolari che possono apparire banali o insignificanti, poiché è sufficiente il proverbiale granello di sabbia per inceppare anche un complesso ingranaggio.

 

Subscribe to fuoco_sacro
Powered by groups.yahoo.com

[Home]