Operatività e Riti Iniziatici

Alessandro Orlandi

 

 Secondo tutte le tradizioni il “corpo” umano non si limita alla sola componente visibile[1]. Per gli egiziani accanto al corpo fisico soggetto alla putrefazione, il khat o sahu, sussistevano lo shut (o khabbit ), il corpo eterico, l’umbra dei latini, anch’esso destinato a dissolversi dopo la morte, il Ka, il corpo astrale o corpo delle emozioni, che poteva evitare di dissolversi dopo la morte grazie al supporto del corpo fisico mummificato, dei vasi canopi, delle scritte sulle pareti del sepolcro e delle offerte, ma non era suscettibile di ulteriore evoluzione. Quindi il Ba, l’anima che collegava tra loro il piano spirituale e divino con quello terreno, e infine l’Akh, l’immortale corpo di luce.

Anche nelle dottrine asiatiche troviamo simili distinzioni: nella tradizione tibetana nello stato del Bardo, successivo alla morte, mentre il corpo materiale si dissolve, la consapevolezza del morto si aggira in una sorta di labirinto di incubi e viene messa di fronte alle forme-pensiero alimentate durante la vita, che possono assumere diverse colorazioni, alcune che conducono verso la liberazione e verso i corpi sottili e spirituali, altre verso la rinascita in forme sempre meno evolute. Queste forme-pensiero sarebbero una sorta di estroflessione delle speranze e delle paure, consapevoli e inconsce, che il defunto aveva alimentato durante la sua vita. Alimentatesi delle sue energie per decenni, reclamano ancora nutrimento dal corpo sottile che sopravvive (temporaneamente) alla morte fisica e così appaiono al defunto come “divinità divoratrici” che reclamano le sue energie.

Nello Yoga della tradizione induista e nel taoismo lunga è la via che conduce l’anima a identificarsi con lo Atman delle Upanisad, immortale e definito da “non è questo, non è quello” e assai complessa la struttura dei corpi in cui il cosmo si riflette. Si può però accennare, per ciò che riguarda la tradizione cinese, alle essenze eteriche dette “Po”, che muoiono insieme al corpo fisico, e a quelle astrali dette “Hum”, che perdurano oltre la morte e che contribuiscono a formare lo Shen o corpo spirituale. Gli alchimisti orientali credono che purificando i soffi vitali o Qi si possa pervenire a formare un “embrione di luce” che trae il suo nutrimento dalla identificazione dell’uomo con il Tao, con la Via.

Disciplina regia per approdare a questo risultato è quella predicata, ad esempio nel Bahagavad Gita, dagli induisti: non nutrirsi del frutto delle proprie azioni, oppure il Wu Wei, il “non fare” dei taoisti, che ha sempre a che fare con l’agire senza attaccamento. L’immortalità viene conseguita dall’alchimista “rafforzando” il proprio corpo di luce e trasferendovi la consapevolezza.

Nella tradizione ebraica la riflessione mistica della Qabbalah sulla Torah non si discosta troppo da tali concezioni.

Un celebre versetto della Torah dice: “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo (adamah) e soffiò (ruah) nelle sue narici un alito di vita (neshamah) e l’uomo divenne un essere vivente (nefesh)” [Gen2,7]. Ebbene accanto al corpo fisico (adamà o meglio basar, Gen 6,3) i cabalisti contemplano un’anima o entità psichica (nefesh, Gen 1,30 e 9,4-5) e l’intelletto vero e proprio (ruah, Gen 7,22). Secondo lo Zohar, uno dei testi chiave della Qabbalah, nefesh, ruah e neshamah sono parti dell’anima umana che formano una sequenza dall’inferiore al superiore e intermediario tra il corpo fisico dell’uomo e la sua anima è lo zelem (Gn 1, 26), la sua configurazione spirituale o princìpio di individualità, composto di materia sottile come un corpo etereo.

 

Scrive in merito Rabbi Shimeon: “Il corpo dell’uomo serve da piedistallo ad un altro piedistallo che è nefesh. Quest’altro piedistallo serve a ruah, e ruah serve da piedistallo a neshamah. Rifletti su queste gradualità dell’essere umano e scoprirai il mistero dell’Eterna Sapienza che le ha formate a immagine del Mistero Supremo”.

 

Gli sciamani di tutte le latitudini parlano di un Doppio, ignoto alla nostra coscienza diurna, che gli uomini che non sono iniziati sono destinati ad incontrare per un breve istante, solo al momento della morte, mentre la loro consapevolezza si dissolve inesorabilmente e che, invece, consente agli iniziati, che vi possono trasferire la consapevolezza, imprese inimmaginabili e la possibilità di bilocarsi. In particolare gli sciamani messicani parlano del Nagual, variamente interpretato come un animale totemico nel quale può trasferirsi l’identità dello sciamano o come una sorta di “doppio energetico” dello stregone (tale, ad esempio, è la concezione che hanno del Nagual gli stregoni del lignaggio di Don Juan nei libri di Carlos Castaneda). Previa l’acquisizione di alcune discipline del corpo e della mente, la “consapevolezza diurna” può trasferirsi nel Nagual rendendo anche possibili fenomeni di bilocazione. Tra le tecniche da acquisire per rendere possibile il trasferimento nel proprio doppio energetico, sembra fondamentale quella consistente nel rimanere consapevoli durante il sonno.

 

I cristiani, sia cattolici che ortodossi, insistono per lo più su una triplicità dell’uomo: corpo, anima e spirito, anche se molti degli attributi che oggi vengono riferiti all’anima anticamente non erano che elementi più sottili del corpo. Fa anche parte della tradizione cristiana la credenza che alcuni uomini, per lo più i santi, possano godere della bilocazione e possano trasferire la consapevolezza a piacimento in una sorta di “doppio energetico” che agisce in loro vece e compie anche “miracoli”.

 

Vorremmo qui  interrogarci  su cosa avviene durante i riti che vengono officiati, individualmente o collettivamente, nel contesto di una Tradizione. Se si ammette che forze trasformatrici siano realmente operanti durante i riti iniziatici e che possa essere stabilito un effettivo contatto con entità non percepibili attraverso i cinque sensi, allora è possibile formulare alcune ipotesi, che non si escludono a vicenda.

1)       Alcuni riti iniziatici hanno il potere di evocare entità sottili, quelle che nella tradizione cristiana vengono definite angeliche o demoniche. Queste entità hanno una natura e una origine del tutto indipendente dall’uomo e dai suoi pensieri, ma possono interferire con l’uomo in condizioni opportune, sia durante la veglia che durante il sonno. Il contatto stabilito durante i riti iniziatici ha come obiettivo quello di trasformare l’operatore o conferirgli poteri che egli non aveva in precedenza. La Teurgia inerisce a questo aspetto del rito.

2)       I riti iniziatici (così come alcune forme di meditazione e di preghiera profonda) hanno il potere di modificare il rapporto tra i corpi dell’uomo, di risvegliare i corpi sottili e  avvicinarli al corpo materiale, modificando in tal modo anche la percezione del mondo di chi opera.

3)       Gli esseri umani hanno il potere, attraverso la cosiddetta “immaginazione attiva”, ma anche attraverso l’officiare riti sia individuali che collettivi, di costituire forme-pensiero e dare loro vita (quando scaturiscono da una attività collettiva, esse prendono il nome di eggregori).

 

Un rito dovrebbe essere considerato realmente operativo  se e solo se  esso determina una delle tre condizioni sopra elencate. Se si ammette la possibilità che tali condizioni possano verificarsi diviene subito evidente il motivo per cui ci si dovrebbe sempre interrogare sulla autenticità della Tradizione all’interno della quale si opera e sulle qualificazioni degli operatori che prendono parte alle azioni rituali. Operando in questo campo senza le necessarie qualificazioni o guidati da una istituzione pseudo-tradizionale (come molte sette new age), si è privi della capacità di discriminazione tra l’angelico e il demonico e delle istruzioni necessarie a canalizzare l’energia che scaturisce dal modificare l’equilibrio tra i “corpi dell’uomo”, si è privi del sapere necessario a dissolvere le forme-pensiero quando queste divengano “ingombranti” o addirittura vampiresche, ostacoli insormontabili alla propria evoluzione. Viene da pensare a Faust che rischia di cadere vittima di Mefistofele, ai medium spiritici che impazziscono, alle strane manie ossessive che affliggono molti appassionati di esoterismo, alla brama di potere e ai deliri egotici di molti “guru” new age, ai luoghi “infestati”, nei quali operatori privi delle necessarie qualifiche hanno evocato entità che non sono più riusciti ad esorcizzare..

Non è possibile né opportuno approfondire qui né l’argomento delle presenze angeliche o demoniche, né quello delle modificazioni tra i “corpi dell’uomo” indotte dai riti iniziatici.

Vorremmo invece approfondire l’argomento delle forme pensiero e delle entità eggregoriche create dall’attività umana.

 

È mera superstizione credere che la mente abbia il potere di creare golem, forme-pensiero con una loro vita autonoma, animate dall’energia di cui le abbiamo dotate?

 

In effetti, stabilire se credere o meno nella loro esistenza ha degli effetti considerevoli, sia su noi stessi che sul nostro rapporto con la realtà.

 

Se ammettiamo che sia possibile creare con la nostra “immaginazione creativa” dei golem dotati di vita propria, il pensiero corre subito alle cosìddette “larve”, quelle entità di cui gli uomini hanno parlato fin dalla più remota antichità in tutte le tradizioni (egiziani, maya e tibetani ci hanno tramandato addirittura l’equivalente di una “guida Michelin” sull’argomento).

Le “cosìddette” larve sono gusci, “cadaveri psichici”, cascami dei corpi sottili e possono restare attive per molto tempo dopo la morte fisica, animate da quello che gli egizi chiamavano khabbit (da non confondere col Ka ), l’ombra inferiore del defunto, generate dal suo aver animato durante la vita una o più forme-pensiero con paura, rabbia, collera, gelosia, dolore, brama, morbosità e così via. Questi “gusci animati” possono disfarsi in tempi lunghissimi ed essere temporaneamente abitati da “entità sottili” parassite ben più pericolose, magari temporaneamente evocate dalla sconsiderata attività di qualche medium, le quali assumono le forme esteriori della “larva” nella quale sono entrate.

 

L’esistenza delle “larve” spiegherebbe una gran parte dei fenomeni di evocazione spiritica i quali apparirebbero, se tale spiegazione fosse vera, destituiti da ogni “aura” di tipo spirituale e, anzi, del tutto sconsigliabili in quanto nocivi alla salute, sia fisica che psichica, di chi pratica lo spiritismo. (Una tesi sostenuta in modo molto convincente da René Guenon nel suo L’erreur spirite).

 

A questo proposito in Mistici e maghi del Tibet Alexandra David Néel, cita il discorso di un eremita tibetano il quale così rispondeva alla domanda se si dovesse essere scettici sulla possibilità che le creazioni della mente potessero “oggettivarsi”: “Secondo voi basta non credere all’esistenza delle tigri per essere sicuri di non essere divorati da queste?... Sia che operi coscientemente o incoscientemente, l’oggettivazione delle creazioni mentali è un procedimento molto misterioso. Che divengono queste creazioni? Non può essere che come i bambini nati dalla nostra carne, questi figli del nostro spirito sfuggano al nostro controllo e giungano sia in un tempo futuro, sia immediatamente a vivere una vita propria?”... “Facendo un paragone immaginate un fiume e a qualche distanza dalla sua riva, uno spazio di terra asciutta dove voi abitate. I pesci non si avvicinano mai alla vostra abitazione, ma se scavate un canale tra il fiume e il luogo dove voi vivete e alla fine di questo canale uno stagno, allora con l’acqua che scorrerà e riempirà lo stagno, i pesci arriveranno dal fiume e voi potrete vederli nuotare proprio davanti a voi. Bisogna stare attenti a non aprire questi “canali” alla leggera. Poche persone si preoccupano di quel che contiene il fondo dell’universo che essi trivellano sconsideratamente”.

Ebbene, a proposito delle larve-vampiro che si nutrono delle forme pensiero dei viventi, che giungono a guidarne pensieri ed emozioni, nutrendosi della loro energia vitale, vorremmo affermare con forza che l’unica vera difesa da queste entità è il lavoro su se stessi. Queste larve possono essere cadaveri psichici, residuo di vite dominate da passioni ed emozioni negative, come si è detto, o addirittura venire create artificialmente da operatori inconsapevoli di ciò che fanno, o, consapevolmente, da adepti della contro-iniziazione, o essere cadaveri psichici “abitati” da entità non-umane più o meno pericolose, ma la presa che hanno sugli esseri viventi consiste nella “risonanza” con analoghe passioni negative, con l’indulgere nella morbosità, nella rabbia, nell’ipertrofia dell’Ego, nelle paure. Chi percorre una via luminosa non offre alcun “appiglio” a queste entità, potremmo dire che la sua anima ha, per loro, “un sapore sgradevole”. Tale lavoro su se stessi, che include disciplina e sobrietà, diviene indispensabile se si fa parte di una comunità tradizionale che  pratica riti durante i quali vengono evocate entità sottili.

Certo, per motivi facilmente intuibili, i luoghi dove queste “larve” trovano lauti banchetti e si rinforzano non sono solo ospedali o cimiteri, luoghi in cui il dolore e i pensieri ossessivi possono costituire un alimento inesauribile per queste entità, ma anche le adunate di massa di ogni segno e colore. In particolar modo se le adunate di massa, sotto l’effetto degli slogan più violenti dei leader politici, aumentano il livello di rabbia, odio, ira e frustrazione di chi vi prende parte. Questo ci porterà a parlare più oltre degli eggregori, le forme-pensiero create da una collettività di uomini che condivide le stesse passioni, un comune intento e un immaginario attivo delle forze che operano nell’universo.

Nel suo libro dal titolo Il regno della quantità e i segni dei tempi René Guénon accennava a pericoli gravissimi che minacciano l’umanità, pericoli di ordine sottile. Pericolosi varchi per queste “entità sottili”, egli diceva, vengono creati dall’esercizio indiscriminato di attività come lo spiritismo e il channelling, così cari alla New Age, dallo sviluppo sconsiderato dei cosìddetti “poteri psichici”, varchi aperti che abbattono l’invisibile “muraglia” che ci protegge dal contatto con siffatte entità, senza alcun riguardo per le qualificazioni di equilibrio, sobrietà e forza interiore che chi subisce tali contatti dovrebbe possedere come prerequisiti per non esserne sopraffatto. Aggiungerei che l’uso che facciamo dei mezzi di comunicazione di massa, radio, TV, internet, particolarmente per ciò che riguarda propaganda politica e pubblicitaria, rendono l’umanità, il “villaggio globale” di McLuhan, uno sterminato allevamento di polli, una riserva inesauribile di emozioni negative in cui queste “larve” possono prosperare indisturbate. Il sinistro paragone con i mattatoi e gli allevamenti di tacchini non è fuori luogo. L’insieme dell’utenza mass-mediatica è un gigantesco allevamento di tacchini umani.

 

Progredire nella conoscenza e ampliare la capacità di percepire “realtà sottili” richiede le necessarie qualificazioni: finché siamo completamente ciechi rispetto ai mondi sottili siamo anche protetti da influssi e interazioni che solo chi è saldamente centrato in se stesso è in grado di affrontare. Il guscio di cecità e inconsapevolezza che circonda quasi tutti gli esseri umani è anche una protezione e una difesa, un dono che li protegge dalla vocazione predatoria delle entità ultrasensibili.

 

Se ci prendiamo la responsabilità di parlare di larve ci spetta anche la fatica di ricordare a noi stessi che è in corso un combattimento della Luce contro le Tenebre, un combattimento che siamo in primo luogo chiamati ad affrontare nella nostra anima, lottando per affermare il silenzio al posto del rumore, la sintesi al posto della dialettica (e dunque il risveglio del potere unificante dei simboli), l’amore al posto dell’odio, la bellezza al posto della volgarità e l’unità al posto della frammentazione, la sapienza al posto dell’ignoranza. Questa lotta incessante richiede da parte nostra una capacità sottile di discriminare caso per caso e di scorgere il gioco dei chiaroscuri legato allo scorrere del tempo. Nessuna idea, nessuna parte politica, nessun movimento di opinione, nessun simbolo venerato dalla collettività incarna mai definitivamente la Luce o le Tenebre. Il tempo e la storia si incaricano di mettere il pratica la legge dell’enantiodromia: il principio luminoso e quello oscuro si incarnano ora da una parte, ora dall’altra.

 

So che in molti sostengono che ravvisare un simile conflitto, in atto o in potenza, nel mondo sia una forma di accecamento e di unilateralità, un cedere a una visione parziale e manichea del gioco degli opposti. Forse è per questo motivo che ci sembra importantissimo che i concetti di Bene e Male, così come vengono proposti dalla Tradizione, (iniziazione e controiniziazione, radunare e disperdere, conoscenza e inconsapevolezza di sé, immagini scaturite dal cuore e immagini ingannevoli prodotte dalla sola mente, armonia e disarmonia, rispetto per la vita e disprezzo per le singole esistenze, amore e odio) vengano di tanto in tanto ripresi in considerazione. La via della ricerca interiore (che spesso dissimula malamente la ricerca del potere) pullula di superuomini e superdonne che collocano se stessi al di là del Bene e del Male. Proprio questa è una delle forme-pensiero più pericolose, la larva di una larva, la vittoria definitiva dell’Ego. Può darsi che, progredendo nel cammino, si giunga alla fine a scorgere la ragione profonda di tutto, ad intuire come ogni aspetto oscuro e tenebroso non sia che la segreta preparazione dell’alba che verrà. Ma chi può andare oltre la Maya accecante generata dal gioco degli opposti? Solo chi abbia giocato quel gioco fino in fondo con ognuna delle sue cellule!

 

 Dedichiamo ora alcune considerazioni a quelle forme-pensiero che non scaturiscono dall’immaginario, dalle proiezioni e dalle emozioni di un singolo individuo, ma dall’intento e dalle passioni di un’intera comunità.

 

Nelle pratiche iniziatiche si ritiene che possa accedere a una data pratica solo chi ha conseguito un opportuno grado all’interno della organizzazione tradizionale, non solo nel senso che gli strumenti rituali che vengono appresi devono essere commisurati allo stato evolutivo di chi li utilizzerà, ma anche perché una comunità iniziatica i cui affiliati siano caratterizzati da intenti comuni e da una comune e costante pratica, genererà una Forma Pensiero collettiva, un “eggregore”, che finirà con l’avere una esistenza propria e che andrà in qualche modo guidato e diretto, perché l’eggregore non è solo alimentato dalle energie di chi appartiene alla comunità iniziatica,  ma può anche essere permeabile ad entità sottili non umane e sfuggire al controllo di chi lo ha creato.

 

Sembra che il termine “eggregore”, impiegato per designare forme-pensiero scaturite dall’attività psichica di un gruppo umano, sia stato utilizzato in questa precisa accezione per la prima volta dall’esoterista Eliphas Levi nel suo libro The Great Secret (1897). Levi fa a sua volta risalire il termine al Libro di Enoch, un apocrifo biblico considerato fino al III secolo come parte dei testi canonici. Nel Libro di Enoch il termine sarebbe derivato dal greco egeiro: “essere vigili, guardare”, riferito agli angeli che si mescolarono alle figlie degli uomini dando origine, tra l’altro, alla mitica razza dei Giganti. Questi angeli vengono anche denominati  “Vigilanti”. Il termine è stato poi ripreso da numerosi altri autori e viene spesso utilizzato in ambienti massonici.

In sostanza un eggregore sarebbe una forma-pensiero scaturita dall’attività immaginativa ed emotiva di un gruppo umano che condivide un intento comune.

Tale forma-pensiero può acquistare una vita propria e caratterizzare per lungo tempo (anni, secoli, millenni) la storia, le credenze, i riti religiosi, i riti di trasformazione e di passaggio, l’immaginario relativo alle “entità sottili” proprio di una collettività. Persino il genius loci del luogo ove un gruppo vive o si riunisce sarebbe un eggregore, magari generato nel corso di varie generazioni (può trattarsi di piccoli gruppi umani, come sette o logge massoniche o di grandi masse di persone che condividono un’idea o comuni interessi, come partiti politici, Nazioni o Istituzioni religiose). Da questo punto di vista ricadrebbero sotto l’egida della definizione che abbiamo appena dato sia le forze che agiscono durante le iniziazioni e i rituali magici, che gli dèi del pantheon di una data religione, quelle “entità sottili” che a volte vengono considerate nel novero degli angeli o dei demoni, le manifestazioni che accompagnano una catena spiritica, alcuni fenomeni ordinariamente classificati come “paranormali”, i cosìddetti “spiriti familiari”, quelli che i latini chiamavano Lari e Penati, la moda e le tendenze che caratterizzano un’epoca, che gli inglesi chiamano the mood of the time e persino alcune delle catastrofi che segnano un periodo storico, le quali sarebbero determinate, a volte, da forze scaturite dall’Immaginario collettivo.

In sostanza, se questa visione delle cose fosse vera bisognerebbe riscrivere gran parte della storia dell’umanità. Infatti sarebbero non tanto le persone a servirsi delle idee per determinare il corso degli eventi, quanto gli eggregori, le forme-pensiero collettive, a servirsi degli esseri umani come di burattini animati per “corporificare” e dare forma a ciò che esse contengono in potenza.

Una teoria apparentemente simile venne formulata dal biologo Richard Dawkins nel suo libro Il gene egoista. Secondo Dawkins l’attività intellettuale umana finirebbe col produrre unità di pensiero indipendenti, da lui denominate “memi”, ciascuna delle quali può racchiudere una visione filosofica e teleologica del futuro dell’uomo e tende a riprodursi, come un organismo vivente, attraverso chi aderisce a quel sistema di pensiero. Sarebbero i memi a servirsi degli esseri umani per realizzare il loro “progetto interno” nell’arco di varie generazioni.

Tuttavia gli eggregori, le forme pensiero, differiscono dai memi di Dawkins in un punto fondamentale: per accettare che gli eventi storici, siano essi positivi o calamitosi, siano determinati dall’invisibile azione di forme-pensiero, dobbiamo ammettere da una parte un'azione magica a distanza della psiche umana su entità invisibili che vengono alimentate e quasi “chiamate alla vita” dagli intenti, dai pensieri e dalle emozioni di una collettività di uomini; dall’altra che, una volta acquistata una sorta di “esistenza indipendente” dai loro creatori, come nella storia del Golem di Rabbi Loew, queste entità fantomatiche, queste forme-pensiero collettive, possano avere il potere di influenzare gli esseri umani con i quali vengono a contatto attraverso una sorta di magia simpatica per contagio, condizionando le convinzioni e le emozioni di alcuni uomini.

È del tutto evidente che una simile teoria non potrà mai far parte di alcuna scienza, perché gli oggetti di cui si parla non sono osservabili, la loro stessa definizione è evanescente ed è del tutto inverificabile che gli effetti che scaturiscono dalla presunta azione delle forme pensiero non abbiano, invece, altre cause.

Gli eggregori e le forme-pensiero costituiscono un capitolo del sapere umano nel quale la conoscenza astratta ha un’importanza molto relativa: solo chi (eventualmente) sappia riconoscere ed “adoperare”, controllare, dissolvere le forme-pensiero ha poi titolo per discuterne l’esistenza…

La pratica spirituale e la scelta consapevole di un cammino di conoscenza fanno da discrimine tra chi può e chi non può percepire l’esistenza di simili entità. Non tutti gli osservatori si equivalgono in questo dominio del sapere. Interagire consapevolmente con l’oggetto osservato è la condicio sine qua non perché l’oggetto osservato “esista” per chi vorrebbe percepirlo.

Una tradizione in cui viene esplicitamente insegnato come dissolvere le forme-pensiero è la tradizione tibetana. Abbiamo detto che nel buddhismo tibetano si crede che ogni uomo alimenti attorno a sé, con le proprie energie, delle invisibili forme-pensiero che si nutrono dei suoi desideri, speranze e timori.

Nel corso di una vita le forme-pensiero acquistano col tempo forza e indipendenza e attendono l’uomo alla sua morte per banchettare come vampiri con le sue energie psichiche. Il Bardo Thodol, il libro tibetano dei morti, vuol essere una guida spirituale per indicare ai trapassati la via per riconoscere i mostri che si fanno incontro allo spirito del morto nell’Oltretomba, come produzioni illusorie della sua stessa mente e delle azioni passate, risalenti alla vita appena trascorsa o ad altre vite ancora precedenti. Solo riconoscendo l’illusorietà delle proprie forme pensiero, il defunto non perderà la via della luce e non sarà ricondotto a rinascere dal suo karma negativo, magari in forme bestiali o demoniche. Questa visione delle forze disgreganti di ordine psichico che operano nel mondo dell’Oltretomba è comune anche al Libro Egiziano dei Morti e la morte dell’anima per smembramento e divoramento da parte dei mostri psichici alimentati durante la vita è nota come “seconda morte” dell’uomo ed è temuta molto più di quella fisica per il suo carattere definitivo.

Il monaco tibetano può però ricorrere ad un rito, detto Tchod, per disfarsi, già durante la vita, delle vampiresche forme pensiero che lo accompagnano sempre e dovunque vada. Il rituale del Tchod conosce due fasi: durante la prima fase detta “del banchetto rosso” l’officiante oggettiva i propri fantasmi interiori mediante la propria immaginazione creativa.

Questi, materializzatisi, si cibano del suo corpo e delle sue energie che egli offre loro in sacrificio, smembrandolo. Nell’invocazione questi fantasmi vengono descritti come i “vampiri di energia” che l’officiante utilizzava per salvare il proprio corpo dalla morte in questa e in altre esistenze. Egli dice: “Oggi pago i miei debiti offrendo, perché sia distrutto, questo corpo che ho tanto amato”.

Durante la seconda fase, detta del “Banchetto Nero”, invece, l’officiante immagina se stesso come un mucchio di resti carbonizzati e concepisce il proprio sacrificio precedente come illusorio. Poiché egli, non essendo in verità nulla, non poteva avere nulla da offrire. È qui difficile non pensare al passo della Bahagavad Gita sul Campo e sull’Osservatore del Campo

Così dice ad esempio un brano del Bardo Thodol intitolato: “Il sentiero dei buoni voti per essere salvati dal pericoloso passaggio stretto nel Bardo”: “L’ora è venuta di separarmi da questo corpo di carne e di sangue; possa io riconoscere il corpo come impermanente e illusorio. Ora che il Bardo della realtà risplende su di me, abbandonando ogni orrore, ogni paura, ogni terrore di tutti i fenomeni, possa io riconoscere ogni cosa che mi appare come mie stesse forme-pensiero...

... Quando le chiare irradiazioni delle cinque saggezze brilleranno su di me possa accadere che, non essendo né spaventato né pieno di terrore, io sappia riconoscerle come provenienti da me stesso”. (Cfr. A David-Néel Mistici e Maghi del Tibet, Roma 1965, cap. 4. ).



[1][1] Cfr. il § 1 di questo capitolo

 

 

 
   
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