La Tavola Alchemica
di Filippo Goti
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"Non possiamo avere il vero senza il falso; riconosciamo un'immagine vera
attraverso un sottile senso delle illusioni, attraverso la percezione che ci
stiamo ingannando. La complicazione del cuore è il suo battito doppio, una
sincope echeggiante; oppure è il suo muro interiore, uno specchio a due facce
che ci consente di prendere 'a cuore' le speculazioni riflessive, e di
immaginarle ancora" (James Hillman 'L'anima del mondo e il pensiero del cuore',
Garzanti, Milano 1993).
Un errore grossolano che possiamo riscontrare in molti interventi attorno
all'alchimia, è il discorrere attorno al simbolo alchemico, e al rinvenimento
dello stesso in alcune opere dell'ingegno umano quali l'architettura, la pittura
e la scultura. In quanto sussiste una profonda differenza fra una lettura
alchemica di un simbolo, e il simbolismo alchemico. La prima presuppone che un
alchimista o un conoscitore di questa Arte, che vuole realizzare la Grande Opera
nelle sue opere intermedie e necessarie, dia una lettura di un particolare
artistico o intellettuale come se esso fosse raccolto all'interno di una tavola
alchemica, mentre il simbolismo alchemico altro non è che la logica progressione
narrativa del procedimento alchemico.
L'aspetto fondamentale della narrazione alchemica, su cui torneremo in seguito
per meglio precisare cosa mai si possa e si debba intendere con essa, non si
vela e rivela attraverso il simbolo inteso come entità individuale, ma
attraverso la tavola alchemica. In
generale, attorno al simbolo, possiamo sicuramente affermare che esso si
manifesta tramite una forma e un contenuto. Quando esso è decontestualizzato del
corpo tradizionale o operativo in cui è o dovrebbe essere insito, o in
alternativa è avulso il lettore dello stesso da tali insiemi, esso altro non è
che una forma che si pone ad una lettura esterna, superficiale, piana, e
prospettica. Quando invece si verifica la compresenza della saldezza di ciò che
viene letto, e di chi legge, all'interno di un insieme operativo e tradizionale
il simbolo perde il suo significato di esercizio dialettico attributivo, per
assumere un significante univoco e caratterizzante.
Da tale assunto discende che ogni volta che ci imbattiamo in un'espressione
simbolica, è possibile attribuire ad essa una molteplicità di significati, ma se
da un lato essi sono tutti ricevibili in una chiave puramente discorsiva,
nessuno di essi ha la possibilità di coglierne la reale essenza in quanto è
frutto di un procedimento puramente logico, puramente esterno. Inoltre dobbiamo
considerare, che non di rado tale sforzo e sfoggio dialettico investe
espressioni grafiche, letterarie e scultoree che non hanno nessun intendimento
che non la bellezza dell'arte. In quanto la profanità non solo è l'esclusione da
un dato ambito, ma è anche il pretendere di essere addentro ad un determinato
ambito.
La narrazione alchemica non deve essere intesa come il tentativo degli
alchimisti di parlare al mondo esterno, perché se così fosse non si
comprenderebbe come mai in molti trovano le tavole alchemiche oscure, ermetiche,
criptiche. Essa non è divulgazione, in quanto non dobbiamo considerare gli
alchimisti come benemeriti spiritualisti al servizio dell'umanità, o membri di
qualche associazione assistenziale, o benemeriti iscritti ad un gruppo di
ascolto. Bensì degli argonauti dello spirito e della materia che tramite un
procedimento hanno come pretesa quella di mutare l'oggetto del loro agire da uno
stato all'altro.
Del resto si converrà che sussiste una certa ed evidente differenza fra
l’interrogarci attorno al singolo simbolo, ed avere come piano di sollecitazione
l’intera tavola alchemica. Nel primo caso siamo come colui che da una fugace
vista del cielo stellato cerca di tracciare una mappa, nel secondo come colui
che dalla mappa del cielo stellato cerca di tracciare la propria posizione.
L'azione
dell'alchimista non assume fattezze di estemporaneità, di attenzione momentanea
ed occasionale ad un aspetto dello spirito o della materia, ma bensì ha valore
di opera sistematica e sistemica che ne accoglie ogni espressione. Ecco quindi
la necessità di narrarla non tanto attraverso un individuale segno, un
occasionale simbolo, o vergatura solitaria di penna, o distinto marmoreo
cesello, quanto piuttosto quello di raccoglierla in modo sistemico in una
tavola, o tabula, alchemica.
Nella Tavola Alchemica sussiste ed insiste una processione simbolica, che narra
del transitare da uno stato all'altro, e delle operazioni necessarie affinché
ciò accada. La narrazione alchemica non è il regno dell'emotivo e
dell'occasionale, ma del logos che deve presiedere le fasi dell'Opera,
e la ripetibilità dell'Opera . Questa narrazione si esprime in un insieme
di pesi, misure, processi e strumenti,
e ponendo la dovuta attenzione ci rendiamo conto che siamo innanzi ad una
progressione, da uno stato primordiale, rozzo, e confuso, ad uno in cui
l'essenzialità del materiale è portata a sublimazione e spiritualizzazione.
L'Alchimia ha significato nella propria interezza, e non nella sua
parcellizzazione in simboli. Così facendo se ne perde il senso e l'integrità, e
i simboli così enucleati decadono al rango di semplici segni utili per esercizio
dialettico, ma privi di qualsiasi valore operativo.
Giustamente il mio amico Fulvio Mocco osserva:
" E' vero che l'alchimia si basa su operazioni più che su simboli e che non
bisogna confondere il particolare con l'insieme, l'albero con la foresta, però,
come nel caso dell'Albero di Vita, dell'Asse del Mondo, del Caduceo, i codici, i
simboli, i sephirot, i chakra, i sigilli apocalittici, i cieli planetari o
angelici sono necessari alla nostra mente razionale che è costretta ad osservare
attraverso sequenze logiche e categorie di opposti: prima e dopo, osservatore e
fenomeno, figura e sfondo, io e il mondo, creatore e creatura, e naturalmente
anche l'alchemico solve et coagula. Essere o non essere: questo è il classico
problema scespiriano riverberato nell'alchemico Rebis, res bis o res bina, la
cosa doppia. "
Ci rendiamo conto che sarebbe necessario, e forse utile per noi stessi e voi,
trattare qui dell'Opera Alchemica e delle sue articolazioni, ma ciò esula dal
presente lavoro, e viene rimandato a prossimi saggi. Gradiamo continuare a
parlare del metodo alchemico di narrazione, non nella sua specificità, ma
dell'idea che lo anima. In quanto riteniamo che essa sia utile a fattiva non
solo in tale ambito, ma in generale nell'opera dell'iniziato.
E' utile considerare se la nostra comprensione dell'Opera Alchemica non investe
il piano fisico, quello dei soffiatori di vetro o di chi propende per
un'alchimia meccanica, ma è rivolta al piano interiore, occultato nella pietra
sedimentaria della nostra forma, che distinguo quali trasmutazione,
reintegrazione, rettificazione, così come proposti dalle varie scuole
iniziatiche, altro non sono che artifici dialettici.
Giungendo alla scarna essenzialità del loro fino, ci accorgiamo che siamo
in presenza di un'Opera Alchemica che ha come oggetto l'iniziato nella sua
interezza, proponendo allo stesso degli strumenti ed un ambito in cui conseguire
l'Opera Magna.
Ecco
quindi la necessità della Tavola Alchemica intensa non tanto come accanito
studio delle altrui rappresentazioni, ma come comprensione di un metodo non solo
rappresentativo, ma anche operativo che necessariamente deve essere attuato.
La Tavola Alchemica coniuga due elementi a nostro avviso fondamentali, il logico
rappresentativo, e l'intuitivo immaginifico.
Il primo si estrinseca nel processionare ciclico, l'Opera è ciclica in quanto
solamente chi possiede l'oro può fabbricare l'oro, da un punto iniziale, lungo
un percorso trasmutativo, con la rappresentazione degli strumenti dell'Opera
stessa. Ecco qui intervenire i sette momenti dell'Opera: Putrefazione,
Calcinazione, Distillazione e Sublimazione, Soluzione, Coagulazione e Tintura o
Manifestazione, e i tre stadi dell'Opera Magna, o Opere Minori: Nigredo, Albedo,
Rubedo.
Tale possente elencazione, tale meticolosa suddivisione, è una precisa rotta,
un’utile comparazione, una serie di pietre miliari, lungo il percorso che
l'iniziato deve intraprendere per giungere e cogliere il fine del suo agire.
Queste dieci tappe rappresentano il fondamento e il perno delle operazioni, e
l'utile glossario narrativo con cui condividere non il risultato del processo,
ma il processo stesso a chi ha orecchie per intendere.
L'aspetto intuitivo immaginifico, in virtù del segreto incomunicabile che è
rappresentato dall'esperienza diretta, si esprime attraverso la ricchezza
artistica dei simboli e glifi alchemici inseriti nelle tavole. Rispondenti
all'apparato mitologico, naturale, e spirituale dell'operatore, ed atti ad
investirlo di una serie di informazioni non legate ad una logica binaria, ma
oserei affermare multidimensionale, e capaci di solleticare oltre alla sfera
logica, quella intuitiva e sottile. Ecco quindi l'apparire di simboli minerali,
vegetali, astrologi, animali, o espressione di una sfera mitologia o al limite
dell'orrido. Tutti legati e sorretti da un sottile filo di Arianna che è il
procedere dell'Opera stessa.
L'ermetismo criptico dell'alchimia non è quindi tanto legato al linguaggio
particolare che gli alchimisti stessi imponevano per avvolgere nel silenzio i
loro segreti, del resto a ben vedere solamente uno sciocco o un ingenuo potrebbe
pensare che la necessità di segreto abbiamo come risposta quella di dare alle
stampe libri ricchi di bizzarri simboli, ed astruse iscrizioni. Quanto piuttosto
l'incapacità dell'uomo moderno, e delle istituzioni formatrici, di impartire la
giusta ed adeguata prospettiva di lettura e di pratica.
Articolo pubblicato nella rivista
LexAurea37,
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