Il Simbolismo del Pesce

di Nerio

 

Generalmente si collega il simbolo cristiano dei pesci all’Avvento, che ha inaugurato l’era precessionale dei Pesci, anche se il glifo zodiacale presenta in realtà non uno ma due pesci appaiati in senso opposto e uniti da un legame o un giogo per la bocca, immagine analoga al Tai-chi cinese, simbolo della polarità yin-yang. Resta il fatto che il cristianesimo è l’unica religione nata in quell’era che ha assunto il pesce come simbolo fin dall’inizio, ed è quindi difficile associare la cosa ad un’epoca storica o astronomica.

Molte ipotesi, anche le più assurde son state proposte come spiegazione, ad esempio il fatto che Gesù abbia dichiarato d’essere l’Alfa e  l’Omega, ma se l’alfa greca ricorda un pesce, non così l’altra lettera.  Poi perché  gente di cultura non greca avrebbe dovuto scegliere l’alfabeto greco come base del proprio simbolismo ?

Certo, in varie culture il pesce è importante e divinizzato: in Mesopotamia abbiamo la capra-pesce Ea, la cui forma avrebbe suggerito quella della mitria pontificale, poi il dio-pesce Oannes; quindi troviamo il Dagon dei Filistei, diventato Baal-Itan  a  Creta, una divinità simile ad un tritone che stringe in mano un tridente, come  Poseidone.  In Egitto c’era il sacro Ossirinco, che avrebbe inghiottito i genitali di Osiride smembrato da Set, e Iside che lo ricompose magicamente, era detta « grande pesce degli abissi ». In Greco, il nome « delphos » vuol dire sia « matrice » che « pesce », e poi il delfino era sacro ad Afrodite, ed ancora di più all’iperboreo Apollo, e lo dimostra il nome del santuario di Delfi.

Notare che una ipostasi di Afrodite in forma di pesce, l’Afrodite Salacia, era celebrata il venerdì dai suoi adoratori, che in quel giorno si cibavano di pesci dandosi  a riti orgiastici.  Anassimandro, a cui si deve il concetto cosmologico dell’ “apeiron” (illimitato), diceva che il pesce  era padre e madre dell’umanità, per cui proibiva di mangiarlo.

In Scandinavia  si mangiava pesce in onore di Freyia e Frigga, due lati della stessa divinità, uno più materno-lunare e l’altro più afroditico, e che hanno dato il loro nome al giorno di venerdì nelle lingue germaniche (freitag, fredag, friday).

 

Comunque, né in Scandinavia, né a Roma sembrano esserci state raffigurazioni grafiche in forma di pesce. Bisogna rivolgersi all’Oriente per trovarne  qualche raro esempio, tutti anteriori al cristianesimo. In Medio Oriente la Grande Madre di Efeso era rappresentata come una donna che portava un amuleto a forma di pesce davanti al sesso; in Cina, la Grande Madre Kwan-yin  era anch’essa raffigurata in forma di pesce. In India Kalì è chiamata « colei che ha occhi di pesce » e l’animale in questione è anche un simbolo di Visnù, il quale appare in tale forma al legislatore del ciclo attuale, il Manu, per annunciargli che l’umanità sarà distrutta  da un diluvio e gli fa costruire un’arca che poi lui stesso guida, sempre in forma di pesce, durante  quel cataclisma. L’affinità col simbolismo biblico è ovvia.  Il Visnù  conservatore  del Vedanta (gli altri membri della Trimurti, Brahma e Shiva, sono creatore e  distruttore)  ha punti di contatto col futuro “soter”, il salvatore cristiano. Poi, nel buddhismo, il pesce rappresenta l’orma di Buddha, cioè il sentiero che libera dai desideri.

Si deve ancora ricordare soprattutto Atargatide, la prima dea siriana ad essere penetrata attraverso la « grande porta » in Roma. In una  sinagoga  dissepolta  a Dura, uno  degli affreschi della volta ritrae questa divinità con la fronte adorna di una pietra preziosa, quasi un terzo occhio (De dea, 32).  Questo simbolo ebraico è piuttosto simile a quello dell’occhio di Horus.

Atargatide aveva un parallelo mitologico con un cacciatore  chiamato  Bolathes ,  visibile in un dipinto a Dura, dove la caccia  agli asini  selvatici  ha  sostituito la più antica tauromachia legata a Mithra ed Eracle, non certo casualmente.

Un viaggiatore che visitò le rovine  di Mabbug nel 1699  notò, scolpita  nella roccia presso ad un pozzo, il rilievo di una donna nuda fra due sirene, le quali, con la loro coda di pesce, formavano un sedile per essa. Nel mito si narra anche che Derketo cadde nel lago del vicino tempio  e che fu salvata  da Ichtys (pesce in Greco) che viveva in quelle acque, divenendo quindi una dea.  Anche Atargatide  fu catturata da Mopso,  ma si gettò nel lago insieme al figlio Ichtys ed entrambi furono ingoiati da un pesce, legandosi così all’elemento acquatico. Nella capitale siriana di Antiochia, in un mosaico su pavimento, la stessa dea Atargatide  è circondata da pesci simili ad amorini. In altra immagine  la dea stessa esce dal mare con un serpente avvolto  attorno al corpo.  In Mabbug  si vede  un altro serpente che avvolge due donne ai piedi di Apollo.

Il nome della dea è la commistione di tre divinità Canaanite e Fenicie: Athtart, Anat, e Athirat. Atargatide  non è che la forma greca del nome Fenicio.  Come  dea della fertilità e della generazione è omologa ad Afrodite, nata dalla spuma del mare; come divinità celeste del tempo umido  era rappresentata velata di nubi  e  con aquile attorno al capo; come dea marina era coronata di delfini.  Essa aveva anche uno stagno sacro con pesci “oracolari” nel tempio della città di Ashkelon. Come compagna di Oannes, era la madre della leggendaria regina  Semiramide, a cui era sacra la colomba, animale in cui poi si trasformò.  Colomba, oca e delfino erano notoriamente sacre anche ad Afrodite, e non per caso.

Durante l’impero romano si celebravano riti estatici da parte dei preti eunuchi della Dea Siria, altra definizione di Atargatide  stessa, ed equivalente anche all’anatolica  Cibele, il cui figlio, Attis, è l’omologo di Adone, caro ad Afrodite. 

Infine, non si possono trascurare i curiosi Nommo, creature anfibie  ed  acquatiche provenienti da Sirio nella mitologia Dogon, popolo del Malì con sorprendenti conoscenze astronomiche  (cfr. Marcel Griaule: «  Dio  d’acqua », Boringhieri, Torino 2002, testo originale del 1948).  Questi Nommo ci ricordano  gli  Apkallus, di cui narrava la « Storia del Mondo » di Beroso,  secondo i pochi frammenti  sopravvissuti alla distruzione della Biblioteca di Alessandria d’Egitto, e  riportati  da  Eusebio di Cesarea ed altri.

Per venire finalmente  al cristianesimo,  già dal I secolo dopo  Cristo troviamo pesci graffiti su stele cristiane per nulla  stilizzati o simbolici, ma che hanno tutta l’aria di animali concreti.  Questo farebbe pensare che i protocristiani non avessero un approccio preciso al simbolo  e  a ciò che esso rappresentava, approccio forse aggiunto a posteriori dall’ermetismo e dallo gnosticismo. Del resto, i primi cristiani, non utilizzavano il pesce come simbolo segreto di riconoscimento?  Chi dice simbolo di riconoscimento dice  codice, e chi dice codice, vela un segreto, per lo più una società segreta, persino di stampo mafioso, rispetto ai valori tradizionalmente accettati.  Allora ci si può interrogare sulle dichiarazioni di Tacito che considera il cristianesimo  una “exitiabilis superstitio”, o Svetonio: “genus hominum superstitionis nouae ac maleficae”. Celso: “esiste una razza di uomini nuovi, nati ieri, senza patria o tradizione, coalizzata contro ogni istituzione religiosa e civile, perseguitata dalla giustizia ed  universalmente nota per infamie, ma che quasi si sente glorificata dall’esecrazione comune: è la razza dei cristiani (…) razza tenebrosa che fugge la luce, muta in pubblico ma loquace dietro gli angoli, sprezzante dei templi come dei sepolcri, blasfema con gli dei e beffarda con le cose sante”.

Non sembra inutile ricordare che il nome Chrestos, molto simile a Christos, era assunto da molti liberti, schiavi liberati, il che confermerebbe certe velleità sovversive che quella religione dovette assumere.

E’ curioso anche constatare come la retorica dell’opposizione fra poveri e ricchi sembri un’anticipazione di quella marxista fra padrone e  dipendente. Gli esempi evangelici sono numerosi: Matteo  19, 1-24; 23, 8-12; 25, 31-46. Luca 16, 1-13 e 19-31. Marco 10, 31 e 42- 45; Epistola  di  Giacomo 1, 9-10; 1, 27;  2, 7 ; 5, 1-6.  Levitico 19-13.  Isaia  61, 1-3.  Paolo ai  Colossesi 3, 11, e così via. Inoltre, appare chiaro che in origine la chiesa cristiana prese piede esclusivamente fra gli Ebrei e ad essi si rivolgeva, cfr. Atti degli apostoli 2, 46; 3,1; 3,12, 3, 25-26; e soprattutto 2, 41, dove fra i 3000 convertiti per la Pentecoste non c’è traccia di Gentili.

Ovviamente, il marxismo resta una “religione atea”, per così dire, mentre il cristianesimo certamente non lo era. In effetti, il materialismo dialettico sembrerebbe accordarsi con i principi morali cristiani, ma non con l’idea del Cristo, tantomeno con quello apocalittico.  Si aggiunga però che  quando si parla  dei valori della famiglia cristiana, lamentandone la sparizione, bisognerebbe chiedersi se la famiglia borghese moderna, criticata persino dal marxismo, discenda dalla famiglia pagana, cioè  romana, o non da quella, appunto, cristiana…

Tornando al simbolo del pesce, che abbiamo visto legato al femminile,  non sembra  da trascurare il fatto che l’apostolo  Pietro, lasciando  Gerusalemme, installò il suo primo seggio episcopale  ad Antiochia,  in Siria, dove, a parte la citata Atargatide, il  dio  Oannes era ancora ben vivo e vegeto. Nel mito, si trattava di un primogenito  divino, mediatore fra il padre  e l’umanità fino  al punto  di farsi uomo per poter  istruire il genere umano.  Difficile pensare ad un caso.

A questo punto bisogna aggiungere il famoso acrostico relativo alla parola  greca per pesce, ιχθυς, ichtus, le cui iniziali velerebbero le parole,  Gesù, Cristo (unto), Figlio di Dio, Salvatore.  Sembra però certo che questa relazione sia stata creata ad hoc ad Alessandria d’Egitto  successivamente, anche se Tertulliano  chiama  i cristiani “pisciculi”, pesciolini, nati dalle stesse  acque  del Redentore, chiamato, in un’epigrafe, il Gran Pesce, o anche raffigurato (ad esempio nella catacomba di S. Callisto a Roma) come pescatore di anime.

In un apocrifo del Vecchio Testamento con l’ossessione delle “acque nere” è detto che Leviatano uscirà dagli abissi all’avvento del Messia: “E Behemoth apparirà dal luogo dove soggiorna, e Leviatan  risalirà dal fondo del mare: mostri giganteschi che io ho creato nel quinto giorno della creazione, e che ho tenuto in serbo in vista di questi tempi, affinché servano da nutrimento a tutti coloro che sopravvivranno” (“Apocalisse siriaca di Baruch”, XXIX, 47).

Anche secondo Jung la scelta del pesce come simbolo cristiano  è  da mettere in relazione all’opposizione fra i biblici animali  Behemot e Leviathan, in cui l’ultimo rappresentava  il cibo eucaristico in paradiso, e questo secondo la tradizione giudaica, confermata poi dal cibarsi di pesce da parte dei discepoli ad Emmaus.  Anche il Cristo resuscitato si ciba di pesce (Luca 24, 42). I primi apostoli erano pescatori, e sappiamo che Gesù mangiava pesce anche prima di Emmaus; una preferenza confermata in Luca 11,11-13:  "Se vostro figlio vi chiede un pesce, voi gli dareste un serpente?  Oppure se vi chiede un uovo, voi gli dareste uno scorpione?  Dunque, voi che siete cattivi sapete dare cose  buone ai vostri figli. A maggior ragione il Padre, che è in cielo, darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono".

C’è poi l’episodio del pesce miracoloso di Tobia. Il libro di Tobia è nel canone dei cristiani ma non in quello degli Ebrei. Sul fiume Tigri Tobia cattura un pesce e con le sue interiora ed il fiele guarisce il padre dalla cecità e libera la fidanzata  dal demonio Asmodeo. Il libro risale al II secolo prima di Cristo. Probabilmente ai primi cristiani è piaciuto perché rimanda  alla funzione mediatrice di Gesù: egli guarisce il Padre e guarisce la sposa (la Chiesa) perché è il loro punto d'incontro come figlio e come sposo, come  Dio e come uomo. Il libro è scritto in aramaico, Gesù e i suoi potevano quindi conoscerlo.

In qualche caso il pesce e il coccodrillo coincidono; Ezechiele chiama il Faraone  “gran coccodrillo che giaci fra i tuoi fiumi”, ed anche il Leviatano del Salmo LXXIV,14, a cui Yahweh  fracassa il cranio, rappresenterebbe  l’esodo dall’Egitto.

In curiosi miti ebraici il Leviatano è talora mostro marino e  talora serpente (nahash) alato (bariah), che richiama quello innalzato nel deserto. Si dice pure che Yahweh avesse  ammansito  il mostruoso  pesce  e si degnasse di  giocare  con lui nelle acque; o che uccise la femmina del  Leviatano stesso  e  con la sua pelle   creasse  le vesti per Adamo ed Eva. E’ anche detto che quando alla fine dei tempi l’arcangelo Gabriele tenterà di pescare il Leviatano maschio dall’abisso, questi ingoierà  esca, lenza e persino l’angelo stesso, così  Dio sarà costretto  a gettare personalmente una rete, e ad uccidere  il pesce maledetto, offrendone poi  le carni ai giusti della Nuova Gerusalemme, nel giorno del Giudizio.

In conclusione, è quindi evidente come ben prima di legarsi alla figura di Gesù e alla parabola dei pescatori, il pesce fosse stato e resti tutt’ora un archetipo di divinità femminili, tipiche soprattutto di popolazioni semitiche, nonché importante  simbolo della religione ebraica.

 

 



Articolo pubblicato nella rivista LexAurea37, si prega di contattare la redazione per ogni utilizzo.

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