L’energia Serpentina Del Drago

Sergio Ghivarello e Fulvio Mocco

 

Nella sua Cerca, il cavaliere errante si apprestava alla conquista di una dama sorvegliata da un drago. L’amore per lei vedeva ogni altro sentimento annullarsi in lui, permettendogli di focalizzare un’immensa forza che lo sosteneva e lo conduceva a superare ogni ostacolo. A tempo debito aveva luogo il mitico combattimento col drago che teneva prigioniera la dama, e dopo la vittoria si verificava l’unione totale e l’asservimento del drago stesso, trasformato in docile strumento di potere magico; il suo sangue era infatti bevanda d’immortalità e permetteva di capire il linguaggio degli uccelli o “lingua angelica”, poiché gli uccelli sono spesso simbolo degli angeli o stati superiori di coscienza.

Nel mito di Cadmio, questi uccise il drago sacro a Marte, custode della fonte per le libagioni al sacrificio della vacca Europa, e ne seminò i denti, da cui nacquero i cinque capostipiti della famiglie nobili di Tebe, ed ebbe in isposa Armonia, figlia di Marte e Venere. In questo caso una relazione connette il drago col futuro destino storico di Tebe.

Mentre lo scopo delle sette Ofitiche e Setiane era di ottenere direttamente la temporanea ma visibile presenza del Re o della Regina del Mondo, le sorelle Valchirie, le “figlie del drago”, custodivano invece il Tesoro dei Nibelunghi; l’anello e la cintura di Brunilde, a lei tolta da Sigfrido dopo l’uccisione del drago stesso, sono infatti un’allusione al potere magico (l’anello-arcobaleno) sulle forze del serpente zodiacale (la cintura) che costruiscono nel tempo il destino dei popoli.



 

A questo punto il rapporto fra il drago o serpente, l’energia zodiacale, il tempo, e la forza occulta che attraverso di essi costruisce il mondo, di matrice astrale venusiana e lunare, si fa più evidente. Pare confermarlo anche il fatto che il drago fu custode del Vello d’oro, simbolo dell’ Ariete zodiacale e della coscienza individuale, nonché del giardino delle Esperidi, la Bilancia zodiacale e la riunione dei contrari, dove crescevano le mele d’oro (potere creativo) ricercate da Ercole, e sgorgavano sorgenti d’ambrosia (immortalità della coscienza collettiva).

In Cina la potenza del Drago esprime ancora oggi la risoluzione dei contrari: un drago uscito dal fiume giallo consegna il Tai-ki, simbolo dello Yin-Yang all’Imperatore. Un altro indica all’imperatore Fo-Hi il simbolo della Cina stessa: un drago a cinque artigli, e sulla veste del sovrano del Celeste Impero si trovavano appunto cinque draghi. Il drago non era il simbolo dell’imperiale “figlio del cielo” o “trono del drago” soltanto in Cina, ma anche nell’area celtica; inoltre in un testo ebraico si parla di un Drago Celeste come “Re sul trono”.

Ancora in Cina, il drago è mascolino e correlativo della femminile fenice, inoltre è contrapposto, come punto cardinale orientale, alla tigre bianca occidentale. Non dobbiamo poi dimenticare che il drago è sempre associato all’acqua e alla folgore, e che il simbolismo dei due opposti per antonomasia, acqua e fuoco, gli è proprio. Nelle leggende molto spesso i draghi vivono nell’acqua ed alitano fuoco, ma l’acqua del drago è soltanto simbolica, e rappresenta l’ “etere”, la quint’ essenza da cui nascono i quattro elementi astrologici che ruotano nello swastika attorno ad un polo centrale.

Ci troviamo di fronte, in questa croce degli elementi, al mondo delle sfere planetarie; mentre il suo “fuoco” è il simbolo di quella fiamma occulta e primigenia da cui tutte le altre sfere ed i mondi corrispondenti hanno origine: il fuoco dell’Empireo, che in Greco significa appunto “infuocato”. Questa croce eterica, ruotando attraverso i tre mondi, forma un triplice zodiaco, costruendo e alimentando una “selva oscura” di immagini illusorie che imprigionano “al centro della terra”, nel cuore gelato delle bolgie dantesche, l’ angelo della luce astrale, Lucifero.

Ricordiamo ancora la leggenda celtica del drago rosso e del drago bianco, sepolti insieme al centro dell’isola di Bretagna. Risorgeranno come “Collera” e “Morte” per distruggere il vecchio mondo quando Re Artù, grazie al potere del Graal e della “lancia del destino”, riemergerà dalle “nebbie” di Avalon per incarnare il Re del Mondo rigenerato.

A conferma di ciò, il drago è quasi sempre associato all’idea di fatalità ed al combattimento per la libertà derivante dalla risoluzione degli opposti. Anche nella tradizione magico-astrologica la “testa” e la “coda” del drago (i Nodi Lunari) sono sempre definite dagli opposti punti d’incrocio sulla sfera celeste tra i “sentieri” percorsi sulla stessa dal Sole e dalla Luna, i due luminari, o dalle costellazioni stesse in rapporto all’equatore celeste ed alla Via Lattea. Si comprenderà allora perché la testa e la coda del dragone sono rappresentate dalle stelle delle costellazioni dei Gemelli e del Sagittario. Essi sono i punti del cielo dove il sentiero siderale dell’eclittica incrocia quello della Via Lattea stessa: ermetici punti (analoghi alle porte solstiziali, Pitri Yana e Deva Yana nel Vedanta) di provenienza o di ritorno dell’anima umana, che si prepara a discendere oppure ha completato la sua risalita, attraverso i Tre Mondi. Attraverso di essi si articola il quaternario della manifestazione, rappresentato dalla duplice coppia di opposti che il drago incarna, e la croce a patte o lo swastika simboleggiano, così come l’antico schema oroscopico piramidale, come la grande piramide di Cheope, o il triangolo contenente il tetragramma qabbalistico.

Per terminare, ricordiamo come in alchimia il drago o serpente venga costretto a chiudersi su se stesso, mordendosi la coda, col futuro che si ripiega sul passato e tutti gli opposti che finalmente si risolvono. Il mondo fisico esiste infatti per nascondere e nello stesso tempo ristabilire quella quintessenza, acqua di fuoco o alito del drago che Lucifero aveva pervertito nel suo fallito tentativo di controllarlo. Nella sua caduta attraverso i tre mondi egli perse la pietra di Venere, lo smeraldo che portava in fronte, e che nel Vedanta rappresenta l’ “occhio di Shiva” con cui il dio avrebbe poi folgorato il dio Kama che aveva tentato di suscitare in lui la “passione” per la sua Shakti, Parvati.

Questo centro frontale è la sede della virilità trascendente (Virya) che ha il potere di “attraversare” la corrente del tempo e la morte, attraverso la costruzione di un Corpo misterioso che è stato conservato attraverso tutta l’eternità da coloro che -nella condizione umana- l’hanno “conosciuto”. I suoi effetti sono retroattivi nel tempo, e solo la comunione di esistenze che ne riassume la natura può consentire all’uomo di uscire dalla prigione individuale, spezzando le catene con cui il mondo degli opposti lo rinserra ogni giorno di più nella sua prigione.

Così il mondo, nella sua natura di Maya-Shakti, prigioniera del drago, ha soltanto il significato che gli si attribuisce in base alle emozioni e passioni che ci suscita. Il drago dell’inconscio collettivo “intrattiene” queste emozioni che noi sentiamo come “sacralità” o “numinosità” necessarie a pilotare la costruzione del mito che è il nucleo di tutte le religioni: il mito dell’archetipo del Sé. Soltanto trascendendo questo nucleo e tutto ciò che gli vortica attorno si può pervenire ad un certo grado di libertà dalla “divina commedia” umana, di cui il drago è regista invisibile ed inafferrabile.



Articolo pubblicato nella rivista LexAurea28, si prega di contattare la redazione per ogni utilizzo.

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